Se l’UE si piega a Erdogan

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Lasciamo oggi la parola al sociologo e giornalista Luigi Manconi, il cui articolo su Repubblica del 3 Marzo riguardo la crisi che si sta consumando ai confini tra Grecia e Turchia e che coinvolge migliaia di profughi ci sembra particolarmente significativa ed illuminante

03 MARZO 2020

La tragedia dei profughi siriani: se puntualmente organizzato e adeguatamente finanziato, quello dei corridoi umanitari è un realistico progetto geo-politico. All’opposto, quella del “carcere” pensato da Ankara per esuli e sfollati è una irrealizzabile e nefasta utopia.
LUIGI MANCONI

Ieri, Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha dichiarato che “le frontiere greche sono europee. Siamo qui per esprimere un sostegno per quello che avete fatto con i vostri servizi di sicurezza, con i vostri team e il vostro governo”.

Michel, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, hanno visitato le zone di confine tra la Turchia e la Grecia, dove in questi giorni si sta consumando una prova drammatica.

I vertici delle istituzioni europee si sono mostrati assai preoccupati – e come non esserlo? – per una situazione di massima instabilità; e il loro messaggio è stato quello della difesa incondizionata di uno status quo quanto mai fragile.

In altre parole, sembra confermarsi la prospettiva di affidare a Erdogan il ruolo di ferreo custode dei confini di quel versante d’Europa; e di affrontare la questione delle migrazioni prevalentemente attraverso strategie di contenimento e di repressione. Ci si deve augurare con tutto il cuore che quello di ieri sia stato un messaggio dettato dall’incalzare dell’emergenza; e che, da subito, si adottino politiche di tutt’altro segno. Come è stato possibile, infatti, che – di fronte a centinaia di migliaia di esseri umani spossessati di tutto e che vedono nell’Europa la sola via di salvezza – non sia stato richiamato quel diritto d’asilo che, della Carta europea, costituisce nucleo essenziale?

Tuttavia, quanto sta accadendo lungo quei confini tormentati può essere affrontato con un punto di vista opposto. Con l’accordo del 2016 la Commissione europea ha versato alla Repubblica di Turchia 6 miliardi di euro perché venisse adottata “qualsiasi misura necessaria per evitare nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare”. In cambio di questa dotazione (che prevede una ulteriore tranche), il governo di Recep Tayyip Erdogan ha trattenuto il flusso dei fuggiaschi all’interno dei confini turchi. Ne consegue che oggi, in Turchia, si trovano a vivere 3,5 milioni di profughi siriani registrati, ai quali viene concessa una protezione temporanea.

Ma proviamo a sottoporre a verifica la contabilità – fatta di numeri e di voci di spesa – di una politica europea dell’immigrazione che rassomiglia tanto a una operazione commerciale di stoccaggio e circolazione della merce-profughi. Con la stessa cifra di 6 miliardi si sarebbe potuto garantire l’arrivo nel continente europeo di centinaia di migliaia di profughi attraverso un sistema di corridoi umanitari legali. E si sarebbe potuto assicurare una prima fase di inclusione nelle strutture di cittadinanza dei diversi Paesi europei. La prova provata risiede nel fatto che, già da quattro anni, funziona un canale che permette l’arrivo in Italia delle famiglie siriane che si trovano nei centri di raccolta in Libano. Da allora sono circa 3000 le persone accolte nel nostro Paese grazie ai protocolli d’intesa firmati dalla Federazione delle chiese evangeliche, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Tavola valdese con il ministero dell’Interno e degli Esteri, cui si aggiungono i progetti della Conferenza episcopale italiana, affidati alla Caritas e alla Fondazione Migrantes.

Certo, si tratta di numeri esigui rispetto all’imponente massa di profughi che si trovano tra la Siria, la Grecia e la Turchia, ma le cifre possono essere lette in maniera totalmente diversa. Una persona che arriva in Europa attraverso i corridoi umanitari “costa” – dal momento in cui incontra gli operatori in un campo profughi a quando avrà intrapreso la prima fase d’inserimento – una cifra valutata intorno ai 10.000 euro. Se prendiamo quei 6 miliardi versati alla Turchia e li dividiamo per i 10.000 del “costo unitario” risulterà che dal 2016 a oggi l’Europa avrebbe potuto accogliere, con lo stesso investimento economico, circa 600.000 profughi.

Quelli indispensabili, anno dopo anno, per costituire il contributo di energia e intelligenza di cui, secondo gli uffici studi delle principali Banche centrali del continente, l’Europa ha dannatamente bisogno. È del tutto evidente che l’ipotesi qui illustrata ha il suo punto debole proprio nell’operazione aritmetica sulla quale poggerebbe (se la spesa per profugo è di 10.000 euro, quanti profughi…?).

Ma la soluzione finora adottata (l’accordo con la Turchia) è infinitamente più svantaggiosa e diseconomica. Quei miliardi versati e da versare rappresentano una sorta di canone di affitto di un perimetro carcerario costituito dal territorio turco e dai suoi confini militarizzati. Anche solo sotto il profilo economico, si pensi a quanto onerosa possa risultare questa moltitudine immobilizzata in una condizione di cattività. Dunque, quella dei corridoi umanitari, pur con i suoi numeri oggi modesti, può essere un’alternativa seria, ovviamente se inserita all’interno di un programma complessivo dell’intera Europa. Insomma, se puntualmente organizzato e adeguatamente finanziato, quello dei corridoi umanitari è un realistico progetto geo-politico. All’opposto, quella del “carcere Erdogan”, per esuli e sfollati, è una irrealizzabile e nefasta utopia (una distopia, appunto).