Vie sicure e legali per mettere fine all’ecatombe nel Mediterraneo

I migranti soccorsi dalla nave Alan Kurdi della Ong Sea-Eye nel giorno di Natale erano tutti libici, così come lo erano quelli soccorsi l’11 Gennaio.

Ci chiediamo: come può la Libia essere considerato un paese sicuro se anche i libici decidono di rischiare la traversata in mare con le loro famiglie?

Eppure i governi europei, in primis il nostro, continua a considerare tali i porti libici e continua a finanziare la guardia costiera per bloccare i migranti che cercano di lasciare il paese e riportarli in centri di detenzione, nei quali le condizioni di vita peggiorano di giorno in giorno e sempre più efferate diventano le violenze inferte.

Qualche giorno prima del soccorso del 25 Dicembre la Sea-Eye ha pubblicato la testimonianza di due sopravvissuti ai campi di detenzione in Libia soccorsi a novembre in cui si parla addirittura di un bambino appena nato da una madre somala dato dai carcerieri libici in pasto ai cani.

È inoltre circolata una foto che ritrae una giovane eritrea appesa a testa in giù che urla, mentre viene bastonata ripetutamente nella “black room”, la sala delle torture, presente in molti centri libici per migranti.

È accaduto a Bani Walid, centro di detenzione informale, unanimemente considerato il più crudele luogo di tortura della Libia.

Quello che accade nei centri libici è noto alle autorità del paese, ai governi europei e all’UNHCR. Ma nessuno può o vuole fare niente.

Secondo le testimonianze di alcuni prigionieri addirittura dei poliziotti libici in divisa si recano nei centri per comprare detenuti africani e farli lavorare nei campi o nei cantieri come schiavi.

Secondo Alarm Phone, la linea telefonica diretta di supporto per persone che attraversano il Mar Mediterraneo verso l’Unione Europea, alcuni dei 65 migranti intercettati dalla Guardia Costiera libica il 10 gennaio si sono rifiutati di sbarcare a Tripoli per cui la Guardia Costiera avrebbe sparato a un migrante e gettato poi il suo corpo in mare.

Questa ultima notizia non è stata confermata dall’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), che comunque continua a ribadire che la Libia non è un porto sicuro e che c’è la necessità di un meccanismo di sbarco ordinato e sicuro nel Mediterraneo.

Insieme al peggioramento delle condizioni di sopravvivenza nei lager libici e ad un comportamento sempre più violento da parte della Guardia Costiera libica, c’è da segnalare un costante aumento dei morti in mare a causa delle pesanti restrizione imposte all’operato delle Ong da parte dell’ex ministro degli Interno Salvini i cui decreti sicurezza non sono stati ancora né cancellati, né modificati dal nuovo governo.

L’OIM parla di 1.283 morti nel Mediterraneo centrale nel 2019, ma si tratta sicuramente di una stima per difetto in quanto è cresciuto il numero di imbarcazioni di cui si sono perse le tracce.

Precisa infatti l’OIM che “I dati diffusi non includono un crescente numero di naufragi ancora da confermare, in particolare nel caso di diverse “barche fantasma” di cui non si è avuta più traccia.” e sottolinea che, nonostante il numero dei migranti morti in mare registrati nel 2019 sia inferiore rispetto a quello degli scorsi anni ( ad esempio i morti nel 2018 erano stati 2218) quest’anno si sono perse le tracce di centinaia e centinaia di vite umane “anche a causa delle varie politiche europee e dell’arresto della presenza delle associazioni non governative dal 2017.

La rotta più praticata nel Mediterraneo, quella tra Libia e Italia, continua ad essere la più pericolosa e si stima un morto ogni 33 persone nel 2019, rispetto a uno su 35 nel 2018 e a uno su 51 nel 2017.

È necessario ed urgente pertanto dare alle persone disperate la possibilità di raggiungere la salvezza in Europa e nel mondo in maniera regolare e sicura.

Occorre creare un meccanismo per sottrarre i migranti dagli ingranaggi dei trafficanti di esseri umani, rispettare gli obblighi internazionali sul diritto di asilo e gestire i flussi in modo da garantire anche la sicurezza per i Paesi di destinazione.

Garantire i “voli della speranza” in diversi Stati europei sarebbe un segno di grande umanità da parte di un’Unione Europea che sembra aver smarrito i suoi valori fondativi.