Come giustamente sostiene Nello Scavo sulle pagine di Avvenire del 16 Novembre «Non sarà facile, quando toccherà agli storici, spiegare che l’epoca dei muri non è più solo quella del Vallo di Adriano o il tempo del cinese Qin Shi Huang, l’imperatore padre della Grande Muraglia. Epoche in cui le fortificazioni servivano a proteggersi dalle incursioni armate. Non nel 2021, quando miliardi di euro vengono investiti per respingere nient’altro che persone disarmate».
Negli ultimi 30 anni i paesi europei hanno costruito mille chilometri di recinzioni, con una spesa di circa un miliardo di euro, destinati purtroppo ad aumentare dopo le recenti vicende ai confini tra Bielorussia da una parte e Polonia e Lituania dall’altra, dove, di fronte all’indifferenza generale del mondo politico, migliaia di migranti sono esposti per giorni alla fame e al freddo e si dice che almeno 20 persone abbiano perso la vita.
L’aspetto più inquietante della questione è che il filo spinato e le armi usate per bloccare l’ingresso dei profughi sono anche un’occasione per realizzare un enorme giro d’affari. Ne beneficiano infatti numerose aziende europee del settore difesa che hanno goduto di un budget di oltre 4 miliardi di euro del Fondo per le frontiere esterne e del Fondo per la sicurezza interna della Commissione europea.
Ma per il prossimo bilancio (2021-2027), l’Europa ha stanziato, a vario titolo, complessivamente oltre 20 miliardi di euro per la sorveglianza delle frontiere. Eppure, come giustamente sostiene Annalisa Camilli sulle pagine di Internazionale, i muri «Non servono a fermare le persone, producono sofferenze inaudite e spingono migranti e trafficanti ad aprire altre rotte».
La nuova epoca dei muri è stata inaugurata dall’Ungheria nel 2015 e, da quel momento, quasi tutti i paesi dell’est europeo non solo hanno iniziato ad opporsi, in un’ottica di stampo ultranazionalista, a qualsiasi riforma del sistema d’asilo, ma stanno ora chiedendo alla Commissione di finanziare la costruzione di nuovi muri alle loro frontiere. Anche se la Commissione ha dichiarato la propria indisponibilità in tal senso, la politica di Bruxelles va comunque nella direzione del rafforzamento delle frontiere esterne, attraverso il sistema delle esternalizzazioni della gestione dei profughi e dei rimpatri.
Per quanto riguarda l’esternalizzazione, ricordiamo che Bruxelles da tempo paga i governi degli stati confinanti per bloccare le migrazioni. Ha iniziato nel 2016 con la Turchia per fermare i profughi siriani, poi nel 2017 con il governo di Tripoli per bloccare e respingere le imbarcazioni di migranti provenienti dalla Libia, e infine con la Tunisia e il Marocco per ostacolare il flusso di migranti lungo la rotta delle Canarie.
Ma in questo modo l’Europa rafforza il potere dei vari dittatori locali, offrendo loro un’arma di ricatto molto forte: se l’Europa vuole infatti che i migranti vengano bloccati dai governi di questi paesi, non può di conseguenza permettersi nessuna ritorsione rispetto alla mancanza di rispetto dei più elementari diritti umani.
Nessuna alternativa viene presa in considerazione, eppure c’è ed è a portata di mano: la concessione di visti umanitari, secondo quanto previsto dalle Costituzioni nazionali della maggioranza dei paesi europei e dai Trattati dell’Unione, che riconoscono, tra i principi fondamentali, anche quelli di solidarietà e di accoglienza. Ovviamente la concessione di visti su larga scala presuppone la revisione del Regolamento di Dublino (che prevede l’obbligo di accoglienza solo per i paesi di primo arrivo) e quindi una distribuzione equa di migranti nei diversi paesi europei.
Il tentativo di rispondere al problema migratorio in questo modo alternativo potrebbe anche offrire una soluzione ai problemi posti dal calo demografico che caratterizza la maggioranza dei paesi europei. La sola Germania avrebbe bisogno di circa 250 mila immigrati all’anno per mantenere il proprio sistema produttivo agli attuali livelli.
Ci sarebbe bisogno, in conclusione, di una visione più ampia, di largo respiro, che superi quelle logiche egoistiche che impediscono di guardare lontano e di ragionare nella prospettiva di un futuro non immediato.
Fonti: Avvenire del 16 Novembre, Internazionale del 13 ottobre, sito di Gariwo (acronimo di Gardens of the Righteous Worlwide = I giardini dei Giusti in tutto il mondo).