Di recente si è appreso che la Presidente del Consiglio del nostro paese ha concluso un accordo con Edi Rama, il Premier albanese, per la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio dove trasferire i migranti che siano stati soccorsi in mare da navi militari italiane.
L’Albania metterà, dietro compenso, alcune aree del suo territorio a disposizione dell’Italia che poi gestirà a proprie spese i centri per l’identificazione e il rimpatrio che vi verranno costruiti. In un anno dovrebbero transitare in queste nuove strutture detentive, sotto giurisdizione italiana ma con “sorveglianza esterna”, circa 36.000 persone.
Fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti considerati “illegali” (perché provenienti da paesi considerati sicuri) saranno totalmente privati della libertà personale, mentre per gli altri si procederà alla verifica dei requisiti per accedere alla protezione internazionale. Se non li hanno, verranno trattenuti in una delle due strutture in attesa delle procedure per il rimpatrio.
Ma qui iniziano le criticità: una sentenza della Corte Costituzionale prevede che il trattenimento forzato in un centro di detenzione debba essere convalidato dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?
Inoltre la consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analogo a quello condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quando, nel 2009, una motovedetta della Guardia di finanza riconsegnò alle autorità libiche decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali.
Infine, il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili, che continuerebbero a sbarcare in porti italiani, e altre soccorse da navi militari, che verrebbero spedite in Albania.
Quello che ci colpisce particolarmente è il carattere disumanizzante dell’accordo, dal momento che si dà per scontato che tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori, siano “irregolari", quando le norme italiane ed europee impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro e riconoscono a tutti il diritto di chiedere protezione internazionale.
Inoltre, è a dir poco anomalo che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa europea.
Si tratta, dal punto di vista giuridico, di un progetto impraticabile, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi.
Molto probabilmente questo accordo non verrà mai realizzato, proprio perché in aperto contrasto con la giurisdizione italiana ed europea, ma dopo il fallimento del Memorandum d’intesa con la Tunisia, occorreva per il governo italiano dare una dimostrazione di forza, anche in vista delle prossime elezioni europee.
Fonti: sito di Comune.