Pietà l’è morta

Screenshot dal video diffuso l’08 novembre dal Ministero della Difesa polacco

La guerra oggi si combatte anche senza armi: alle pesanti sanzioni che l’Unione Europea ha applicato alla Bielorussia, quest’ultima, dove da decenni vige un sistema dittatoriale con a capo Lukashenko, risponde utilizzando masse di migranti provenienti da Siria, Iraq, Afghanistan

Sin da questa estate la Bielorussia ha iniziato ad accogliere migliaia di migranti per spingerli poi al confine con la Polonia e la Lituania allo scopo di mettere in difficoltà l’Unione Europea. Molti migranti, ma anche molti oppositori di Lukashenko, raccontano di viaggi organizzati e incoraggiati dalle autorità bielorusse che hanno semplificato le procedure burocratiche per rilasciare visti turistici, soprattutto in Iraq.

Molte agenzie di viaggio in Iraq e nelle nazioni limitrofe sono riuscite in tempi brevissimi ad ottenere il visto  turistico e a far  imbarcare i profughi sugli aerei delle molte compagnie che hanno aperto, sempre in tempi molto rapidi, una rotta per Minsk, capitale della Bielorussia. Una volta arrivati, i migranti sono stati  scortati  al confine polacco dalle stesse forze di sicurezza bielorusse.

Al momento al confine ci sarebbero tra 2.000 (secondo la stima della Commissione Europea) e 4.000 persone (secondo il governo polacco). Tra queste ci sono anche famiglie con bambini accampate all’aperto con temperature vicine allo zero, senza acqua e senza cibo e con scarsissime possibilità di ricevere aiuti, data la difficoltà di accesso alla zona di confine per le associazioni e le agenzie umanitarie.

Le forze di sicurezza polacche sono addirittura ricorse all’uso di cannoni ad acqua dopo che un gruppo di migranti esasperati aveva lanciato sassi attraverso il confine. La risposta del governo polacco all’arrivo dei profughi è stato lo schieramento di 22.000 militari ad un confine “protetto”, al momento, da filo spinato, ma sappiamo che l’intenzione della Polonia è l’innalzamento di un muro del cui costo dovrebbe farsi carico l’Unione Europea.

Quest’ultima ha prontamente preso le difese del governo polacco e ha deciso di inasprire le sanzioni contro la Bielorussia. Con la Polonia si è schierata immediatamente anche la Nato, mentre la Russia appoggia come sempre Lukashenko e accusa l’Europa di disumanità.

La Polonia inoltre cerca di drammatizzare al massimo il problema dell’incolumità dei propri confini (e di quelli europei) al fine di ottenere lo sblocco dei fondi del Pnrr da parte di un’Unione Europea che si è dimostrata ultimamente abbastanza intransigente nei confronti del governo polacco sul tema della difesa dei diritti umani, a partire da quello all’aborto.

E, nonostante i contrasti tra la Presidente della Commissione Europea  da una parte  e il Presidente del Consiglio Europeo dall’altra a proposito della costruzione del muro, complessivamente l’atteggiamento dell’Europa appare al momento improntato ad una maggiore indulgenza nei confronti di Varsavia, nel comune intento di difendere “l’integrità” europea.

In questo gioco geopolitico a nessuno sembra interessare la sorte dei migranti che hanno denunciato a BBC News la loro terribile situazione: «Non ci lasciano dormire e siamo affamati, qui non ci sono né acqua né cibo. Ci sono bambini piccoli, anziani e famiglie».

Nessuna voce si è alzata tra i politici europei per denunciare la condizione dei migranti ammassati ai “sacri” confini, a nessuno è venuto in mente che, mentre si cerca di risolvere la crisi politica e diplomatica con Bielorussia e Russia, quei migranti non possono continuare a stare accampati all’aperto e che forse attraverso un’equa distribuzione tra tutti i paesi europei, la “invasione” non sarebbe così drammatica.

Ma si sa, la banalità del buon senso comune non è una dote dei politici. 

Nessuno vuole negare che il gioco di Lukashenko sia stato cinico e disumano, ma sono questi i momenti in cui l’Europa dovrebbe farsi paladina con i fatti e non solo con le parole dei suoi valori fondativi.

Come giustamente dice Marco Tarquinio sull’Avvenire del 16 Novembre: «Meno male che ci sono le “lanterne verdi” accese in molte case a ridosso del confine polacco a segnalare che pietà non è morta e che la civiltà d’Europa non è tutta crocifissa in cima a reticolati taglienti come flagelli».

Le “lanterne verdi” sono le luci che vengono accese nelle case dei contadini polacchi per segnalare ai profughi che lì possono trovare del cibo o degli abiti per sopravvivere, onorando così l’elementare dovere del soccorso. Ma le lanterne verdi non possono bastare: occorre che l’Europa smetta di vedere nei migranti degli invasori, dei delinquenti. Occorre, come sempre dice Tarquini, che l’Europa smetta di essere «i campi di concentramento di Lesbo, il finanziamento diretto o indiretto dei lager e dei negrieri di Libia, l’intrico balcanico di recinti, i campi minati e i miliziani picchiatori, i fucili spianati di Ceuta e Melilla, le “giungle” di Calais».

Fonti: Il Riformista dell’11 Novembre; l’Avvenire del 16 Novembre.