Sono anni ormai che in Italia si discute di Ius Soli o di Ius Culturae, un provvedimento che permetterebbe di dare la cittadinanza italiana a tutti quei ragazzi e ragazze, figli di genitori stranieri, a condizione solo che siano nati in Italia (ius soli) o che invece abbiano completato almeno il primo ciclo di studi (ius culturae).
Ma il nostro Parlamento non è ancora riuscito a legiferare su questo tema sia per la fiera opposizione delle cosiddette “forze sovraniste” che per la pavidità delle altre.
Eppure, secondo il Fondo Monetario Internazionale «I Paesi dove vige un regime di ius soli tendono a essere più sviluppati di quelli che hanno altre regole. […] L’inclusione facilitata da opportune leggi di cittadinanza è un motore di crescita economica e un fattore per spiegare perché alcuni Paesi sono più ricchi di altri».
In un documento intitolato “Does an inclusive citizenship law promote economic development?”, il FMI spiega perché, per quei paesi con grossi flussi migratori, lo ius soli, oltre ad essere uno strumento di convivenza civile e di riconoscimento di diritti, sia anche da considerare un fattore di sviluppo e crescita.
«Distinguendo in modo netto i cittadini di un Paese da tutti gli altri, la legge provoca forti tensioni sociali. […] Viceversa le norme dovrebbero facilitare l’integrazione, predisponendo un semplice e trasparente percorso per la cittadinanza che crei un terreno di uguali opportunità per i nuovi arrivati».
In conclusione, leggi sulla cittadinanza escludenti, come quelle che si basano sullo ius sanguinis, possono provocare forti tensioni sociali tra gli “in” e gli “out”, mentre quelle inclusive sono un importante strumento di crescita. Queste ultime determinano «meno diseguaglianze di reddito, più parità di genere, miglior velocità di adattamento, e di conseguenza più crescita».
Il rapporto, che è del 2019, evidenzia che nel periodo 1970-2014 i redditi pro capite dei Paesi con lo ius soli sono stati dell’80% più alti che in tutti gli altri. L’aumento del reddito pro capite si è verificato soprattutto in quei paesi dove si è riusciti a «legare ogni singolo allo Stato, attribuendogli un’identità precisa e legale, da affiancare naturalmente alla loro identità etnica basata sui legami con la terra d’origine».
In Italia, dove vige ancora il regime dello ius sanguinis e dove i nati nel Paese possono ottenere la cittadinanza solo una volta raggiunta la maggiore età, si verificano situazioni paradossali.
Ad esempio, non si può ottenere automaticamente la cittadinanza se non si riesce a dimostrare di aver risieduto ininterrottamente in Italia da quando si è nati. Condizione chiaramente molto restrittiva dal momento che molte famiglie spesso ritornano nel proprio paese d’origine anche per lunghi periodi.
Inoltre, chi non è nato in Italia ma vi è arrivato da piccolo e qui è cresciuto, per richiedere la cittadinanza deve dimostrare di avere un Isee superiore agli ottomila euro. Cosa, ovviamente, non semplice.
Fino a quando non hanno ottenuto la cittadinanza, infatti, i tanti ragazzi/e cresciuti in Italia, che qui hanno frequentato la scuola italiana e che parlano benissimo la nostra lingua, non possono accedere ai concorsi pubblici, né fare richiesta per entrare nelle forze armate: in conclusione, senza la cittadinanza un lavoro per raggiungere quell’Isee è quasi impossibile.
Un altro aspetto paradossale del regime dello ius sanguinis è l’impossibilità per i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri di partecipare a viaggi di istruzione all’estero, pur frequentando regolarmente la scuola.
Nel 2016 era stata presentata alla Camera una legge che prevedeva, per la prima volta, il riconoscimento del percorso scolastico in Italia come elemento per chiedere la cittadinanza (ius culturae). Però il testo fu calendarizzato all’ultimo momento, prima della fine dell’anno e della legislatura: Calderoli chiese la verifica del numero legale e risultò che non c’era, dato che gran parte dei senatori, anche di quelli che sostenevano la legge, erano già partiti per le vacanze.
Ed ancora oggi, 5 anni dopo, quella legge è sepolta alla Camera, nonostante alcune forze politiche dichiarino periodicamente la necessità di approvarla urgentemente.
Fonti: Repubblica dell’8 settembre, Sito del FMI: www.imf.org