Afghanistan: oltre l’obbligo di accogliere

Dopo la pausa estiva, eccoci di nuovo al consueto appuntamento con la rubrica Facciamo un po’ di chiarezza.

Sono accadute tante cose in questi due mesi, ma certamente ciò che ha catalizzato l’attenzione di tutti i media, a partire dalla metà di Agosto, è stata, dopo il ritiro delle truppe degli americani e dei loro alleati dall’Afghanistan, l’avanzata rapidissima dei talebani, che in pochi giorni sono arrivati a Kabul; e poi la corsa a fuggire dal paese di tutti coloro che in qualche modo avevano collaborato con il precedente governo e con le forze straniere e delle tante donne che avevano iniziato negli ultimi anni un percorso di emancipazione da una cultura patriarcale e oscurantista.

Ovviamente anche noi dobbiamo ripartire da qui.

Precisiamo innanzitutto che oggi il dovere, direi anzi l’obbligo, di tutti i paesi europei è quello dell’accoglienza delle migliaia di profughi che sono riusciti a lasciare il paese.

Lo ha ben sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, in occasione degli 80 anni del Manifesto di Ventotene, ha dichiarato: «In questi giorni una cosa appare sconcertante e si registra nelle dichiarazioni di politici un po’ qua e là in Europa. Esprimono grande solidarietà agli afghani che perdono libertà e diritti, ma “che restino lì”, “non vengano qui perché non li accoglieremmo”. Questo non è all’altezza dei valori della Ue».

Infatti, sia alcuni politici locali da sempre contrari all’accoglienza dei migranti che alcuni governi europei che si sono sempre distinti nell’innalzare muri nei confronti di profughi si sono affrettati, mentre era in corso l’evacuazione, a dichiarare che l’Europa non poteva farsi carico delle migliaia di afghani che stavano lasciando il proprio paese. Una posizione sconcertante, come dice Mattarella, una posizione addirittura indecente, potremmo aggiungere.

Non dimentichiamoci che la valanga umana che si è accalcata nei pressi dell’aeroporto di Kabul, cercando disperatamente di imbarcarsi sugli aerei delle forze occidentali, è il frutto del modo precipitoso e incompetente con cui gli Americani hanno deciso di porre fine al loro intervento in Afghanistan; si è trattato in pratica di una fuga a cui tutti gli altri governi della coalizione, compresa l’Italia, si sono accodati, anche se ora, da Macron a Johnson, tutti fanno a gara a prendere le distanze da Biden.

Ma ancor prima della responsabilità di un ritiro affrettato delle truppe che ha fatto precipitare il paese nel caos, c’è la responsabilità europea di aver partecipato ad una guerra che avrebbe dovuto colpire in modo rapido e “chirurgico” le cellule di al-Qaida presenti in Afghanistan e che invece è durata 20 anni, ha prodotto centinaia di migliaia di morti, è costata ai soli Stati Uniti 2.300 miliardi di dollari e non ha raggiunto alcun risultato: i talebani sono di nuovo a Kabul e addirittura l’Isis-K riesce a seminare il terrore e a provocare centinaia di vittime all’aeroporto della capitale.

In questi giorni è crollata miseramente l’illusione occidentale di eliminare i talebani e di trasformare un’intera cultura. Il successo dell’avanzata degli “studenti coranici” sta a dimostrare che il sostegno a loro favore è ancora molto forte e che numerosi afghani li preferiscono ad un governo “fantoccio” incapace, inetto e corrotto.

È proprio di questi giorni la notizia che numerosi afghani emigrati negli anni scorsi in Pakistan stanno ora ritornando nel proprio paese perché ripongono fiducia nei talebani. È doloroso doverlo ammettere, ma il consenso nei loro confronti, al di fuori della capitale, è ancora molto forte. Allo stesso modo è fallito il progetto di trasformare la cultura del paese.

A Kabul e in alcune altre importanti città è certamente iniziata una radicale trasformazione culturale che ha coinvolto soprattutto le donne, che in tante avevano ripreso ad andare a scuola e all’università, a fare sport e a lavorare con compiti anche di notevole responsabilità. Ma nel resto del paese pressoché nulla è cambiato, a dimostrazione del fatto che “esportare” dal di fuori e dall’alto i propri valori, è un’operazione di ingegneria sociale destinata al fallimento, se non si è in grado di comprendere la complessità e la “solidità” della cultura dell’altro.

Come viene sottolineato nel secondo rapporto SIGAR (Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction) intitolato Sostegno all’uguaglianza di genere: lezioni dall’esperienza degli Stati Uniti in Afghanistan, «ai funzionari statunitensi serve una comprensione più sfumata dei ruoli e delle relazioni di genere nel contesto culturale afgano e di come sostenere donne e ragazze senza provocare contraccolpi che potrebbero metterle in pericolo o bloccare il progresso».

Quello del cambiamento culturale e di come debba avvenire dall’interno per essere duraturo è un problema complesso che ci riproponiamo di approfondire prossimamente.

Al momento c’è l’urgenza di accogliere e integrare le migliaia di profughi afghani giunti in Europa e soprattutto quelle donne coraggiose che sono state costrette a lasciare il proprio paese per non andare incontro a una morte quasi certa, senza dimenticarci degli afghani rimasti che vanno aiutati e sostenuti attraverso l’intervento delle agenzie umanitarie.

Fonti: Internazionale del 26 Agosto; Repubblica del 30 Agosto.