Al confine tra Bosnia e Croazia, sulla cosiddetta “rotta balcanica”, in un gelido inverno, nel silenzio dei principali organi di informazione, 2.000 migranti sono stati abbandonati, per giorni, senz’acqua, senza luce, senza cibo.
In seguito alle proteste dell’Onu e dell’Unione Europea, l’11 gennaio in 900 sono stati finalmente accolti in 90 tende riscaldate, allestite nel vecchio campo di Lipa, mentre gli altri ancora vagano e aspettano al gelo. C’è anche chi si adatta a vivere in fatiscenti case abbandonate o in grandi fabbriche dell’epoca di Tito, non più in funzione.
Sulla rotta balcanica ancora una volta abbiamo assistito al cinico gioco dello scaricabarile tra le nazioni europee: con l’Italia che effettua i respingimenti (ma li si chiama con un eufemismo “riammissioni”) dei profughi giunti alle sue frontiere verso la Slovenia, che a sua volta li “riammette” in Croazia, che li “riammette” in Serbia e in Bosnia Erzegovina.
Il lavoro più sporco è svolta dalla Croazia, l’ultimo dei Paesi europei in questa catena: le torture e le violenze della polizia contro i migranti qui sono un fenomeno quotidiano. Come denunciato in un articolo di Der Spiegel di qualche tempo fa, «[l]e foto di organizzazioni umanitarie mostrano migranti con lacerazioni sanguinanti, braccia e denti rotti e segni color rosso scuro sulla schiena. I richiedenti asilo parlano di tortura con pistole stordenti, abusi sessuali e unghie strappate».
Afferma Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, ora deputato europeo, che si è preso cura in passato di migliaia di migranti giunti nella sua isola, «Qui per ora ci sono meno morti rispetto al Mediterraneo […] Ma i respingimenti sono più disumani. A Lampedusa non è stato quasi mai torto un capello ai migranti: qui abbiamo prove di decine di torturati».
Il governo croato nega e respinge da sempre ogni denuncia ed anzi sostiene che queste campagne “diffamatorie” mascherano il tentativo di impedire alla Croazia di entrare nell’area Schengen, cioè lo spazio dell’Unione Europea dove poter viaggiare senza restrizioni interne. In realtà, rispetto all’ingresso nell’area Schengen, nell’ottobre 2019 la Croazia ha già ottenuto una prima valutazione positiva: in essa si legge, tra l’altro, che il paese deve continuare «a lavorare […] all’attuazione di tutte le azioni in corso, in particolare nella gestione delle frontiere esterne». E, a quanto sembra, il governo croato ha assunto con molto impegno il compito affidatogli (!), tralasciando però le raccomandazioni dell’Unione Europea al rispetto dei diritti umani, raccomandazioni a dire il vero molto formali.
Questo per quanto riguarda la Croazia. Ma poi la gestione dei profughi tocca alla Bosnia: quelli che da anni arrivano qui dalla Grecia o dai vicini paesi dell’Unione Europea, da dove sono stati respinti, vengono sistemati in campi di fortuna, mentre tanti altri vengono abbandonati a se stessi. Ormai, nessun comune vuole più rifugiati nel proprio territorio, denunciando il fatto di non aver ricevuto compensazioni economiche né dal governo bosniaco né dall’Unione.
Eppure l’Unione Europea ha versato 90 milioni alla Bosnia: ma, a quanto pare, questi soldi, invece di essere utilizzati per l’accoglienza, sono serviti a potenziare le gendarmerie locali o ad allestire campi che poi sono rimasti vuoti per non esacerbare gli animi delle popolazioni locali. Il resto se lo sono accaparrato società appaltatrici legate a ministri del governo. Anche qui la corruzione sembra regnare sovrana.
L’Europa ha alzato la voce e ha minacciato gravi conseguenze. Ma le responsabilità principali non sono forse le sue e dei suoi paesi membri? Negare le domande d’asilo da parte di Croazia, Slovenia ed Italia ed effettuare i respingimenti senza una preventiva verifica è contrario infatti ad ogni convenzione internazionale (ma anche ad elementari principi di umanità). Ma, purtroppo, ancora una volta, l’Europa continua a sfuggire alle proprie responsabilità e preferisce minacciare la Bosnia, accettando che ai suoi confini si consumi un’immane catastrofe umanitaria.
Fonte: Corriere della Sera del 12 Gennaio; Repubblica e Manifesto del 17 Gennaio, sito web Valigia blu.