Ritorniamo oggi sulla riforma del Patto di Dublino proposto dalla Commissione Europea, cercando di comprenderne la logica ed evidenziandone le criticità.
Appare chiaro che la proposta avanzata mira soprattutto a condividere tra i paesi membri lo sforzo sui rimpatri più che quello sull’accoglienza.
Come abbiamo già detto nell’articolo della scorsa settimana, il piano elaborato dalla Commissione prevede infatti che un paese possa rifiutarsi di accogliere la propria quota di migranti purché si impegni ad organizzare il rimpatrio, sostenendone anche le spese, di coloro che non hanno diritto all’asilo.
Interessante a tale proposito il commento di Amandine Bach, consulente per le politiche migratorie del gruppo parlamentare della sinistra radicale al Parlamento Europeo “Sono imbarazzata dal dibattito europeo sull’immigrazione; definiamo solidarietà il fatto che i paesi membri “sponsorizzino” l’espulsione di persone. In passato il Parlamento Europeo aveva già scartato una proposta che risparmiava ai paesi dell’Est l’onere di accogliere richiedenti asilo in cambio di soldi per la loro gestione.”
Attualmente coloro a cui non viene riconosciuto il diritto all’asilo sono circa i due terzi dei richiedenti. Questo alto tasso di diniego, che appare decisamente eccessivo, è dovuto a scelte politiche ben precise che mirano a restringere sempre più i criteri per la concessione dell’asilo.
Ora la Commissione vuole introdurre anche misure più rigide per l’identificazione dei migranti in arrivo.
All’obbligo di prender le impronte digitali e registrare la richiesta di asilo la Commissione propone infatti di aggiungere un “primo processo di identificazione e controlli sulla salute e la sicurezza”, da effettuare entro cinque giorni dall’ arrivo.
La Commissione Europea vuole quindi che le decisioni di asilo o rimpatrio siano velocizzate al massimo e, come ben sappiamo, la ricerca di rapidità spesso comprime ulteriormente diritti già ampiamente calpestati.
Tali controlli dovranno inoltre essere effettuati ai confini, e i richiedenti che hanno poche probabilità di ottenere protezione dovranno essere trattenuti lì: sempre nell’ottica del respingimento facile e veloce.
Quindi, una riforma che voleva essere nel segno della solidarietà nell’accoglienza è in realtà sostanzialmente finalizzata a realizzare una velocizzazione nel respingimento.
E’ la solidarietà di un’Europa che si chiude sempre più, che vuole tutti gli stati uniti nel respingere quanto più possibile e nell’accogliere al minimo .
E i ricollocamenti in tutt’Europa, quelli che potrebbero permettere un’accoglienza diffusa e favorire un’integrazione migliore, rimangono una pura utopia.
Non si fa cenno inoltre ad un programma di ricerca e salvataggio europeo nel Mediterraneo nè ad un annullamento del programma di cooperazione con la Libia.
Di solidarietà nei confronti di chi arriva quindi non c’è neppure l’ombra.
Fonti: Avvenire del 23 settembre 2020