Ce lo chiede l’Europa
La scorsa settimana abbiamo rivolto il nostro sguardo ai migranti ospitati nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria). Oggi cerchiamo di esaminare cosa sta avvenendo nei Cpr, ovvero nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio.
Qui sono rinchiuse (ma in genere si preferisce dire che “sono ospiti” ) circa 450 persone in Italia e alcune migliaia in Europa: si tratta di quei migranti per cui non si prospetta altro futuro che il rimpatrio o una permanente condizione di irregolarità. Il primo decreto sicurezza, firmato dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, nel 2018 ha esteso la permanenza in questi centri da un massimo di tre a un massimo di sei mesi.
Già il 13 marzo, in piena emergenza Coronavirus, gli avvocati dell’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione avevano chiesto al ministro dell’Interno, alle Prefetture e alle Questure di tutta Italia di bloccare gli ingressi nei Cpr per far fronte all’emergenza sanitaria. Richiesta poi ribadita da un appello firmato il 22 marzo da un centinaio di associazioni, tra cui Libera, Asgi e il Gruppo Abele.
Alle prefetture competenti degli 8 Centri permanenti per il rimpatrio è giunta invece, il 26 marzo, solo una circolare del ministero dell’Interno in cui si evidenzia l’importanza di effettuare nei confronti delle persone trattenute un costante monitoraggio delle condizioni di salute di ciascuno e di assicurare ai trattenuti un’idonea dotazione di materiale per la cura dell’igiene, garantendo la massima cura dei servizi di pulizia di tutti gli ambienti. Nell’eventualità di nuovi ingressi, si rileva l’importanza di verificare se è stata effettuata la visita medica preliminare e se è stata esclusa la sussistenza di sintomatologie da Covid-19. Seguono poi prescrizioni molto dettagliate ma di difficile attuazione.
Non a caso la sindaca di Gradisca D’Isonzo, in provincia di Gorizia, dove a dicembre ha riaperto un Cpr con accanto un Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) il 29 marzo ha denunciato il fatto che nelle due strutture ci fossero 180 persone, molte giunte in quei giorni, e ha fatto presente che era materialmente impossibile adottare molte delle misure richieste dal Viminale. La sindaca, Linda Tomasinsig, da tempo aveva chiesto la chiusura del Cpr.
L’aspetto di questa vicenda che ci risulta incomprensibile è il seguente: se per molto tempo sarà impossibile effettuare rimpatri a causa del blocco dei trasporti dovuto al Coronavirus, perché si continua a fermare le persone per strada e li si porta nei centri, incrementando il rischio di contagio?
La Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, con una raccomandazione, ha chiesto espressamente ai governi europei di svuotare i centri di detenzione e di predisporre soluzioni alloggiative alternative, per rispettare la dignità e la sicurezza sanitaria degli stranieri coinvolti. Nella raccomandazione si sostiene, tra l’altro, che «Di fronte alla pandemia globale di Covid-19, molti Stati membri hanno dovuto sospendere i rimpatri forzati di persone non più autorizzate a rimanere nei loro territori,[…] e non è chiaro quando questi possano essere ripresi. In base alla legge sui diritti umani, la detenzione per immigrazione ai fini di tali rimpatri può essere lecita solo se è fattibile che il rimpatrio possa effettivamente aver luogo. Questa prospettiva non è chiaramente in vista in molti casi al momento.»
Mentre in Spagna si è deciso immediatamente di chiudere i centri di detenzione, l’Italia ha finora ignorato questa raccomandazione. In alcuni Cpr come ad esempio in quello di Palazzo San Gervasio in provincia di Potenza, molti migranti hanno iniziato a praticare lo sciopero della fame perché in ansia per la propria salute. Lamentano il fatto che non ci sono assistenti sociali, che non sanno quanto tempo resteranno nel Centro, che non ci sono precauzioni quando lo staff e la polizia entrano nelle loro aree.
I rappresentanti dell’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione
sostengono che “continuare a tenere i migranti in queste condizioni non ha nessun senso. O vengono liberati tutti o vanno sistemati in posti sicuri”. E concludono “Ma per queste 450 persone complessivamente trattenute negli 8 Cpr in funzione, la frase “ce lo chiede l’Europa” non vale?“
fonti: sito di “Progetto Melting Pot Europa”, sito di “Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione”