L’Iraq

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Introduzione geopolitica

Secondo un rapporto dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, l'Iraq è il quinto Paese più vulnerabile ai cambiamenti climatici, ed è uno dei paesi più affetti da essi. Alcuni elementi, tra cui le sue caratteristiche fisiche, contribuiscono ad aumentare le criticità che i cambiamenti climatici stanno facendo emergere nel paese. Anzitutto, la sua posizione: l’Iraq è collocato al centro del Medio Oriente, e quindi al centro di una regione ricca di risorse naturali e di importanti rotte commerciali. Il territorio iracheno è prevalentemente pianeggiante, ed è caratterizzato da un clima subtropicale, molto caldo e arido. La pianura mesopotamica, situata a sud del paese, è la zona più fertile e densamente popolata ed è attraversata da due importanti fiumi, il Tigri e l’Eufrate.

Alle fragilità di un territorio ricco ma geograficamente propenso a fenomeni naturali estremi, si sommano le problematiche derivanti da una situazione geopolitica complessa e volatile. L’Iraq, culla delle civiltà mesopotamica, è infatti un paese instabile da decenni. L'invasione del 2003 da parte degli Stati Uniti ha portato a un periodo di guerra civile e violenza che ha devastato il paese. Nel 2014, poi, l'ascesa dello Stato Islamico ha ulteriormente destabilizzato la situazione. Nonostante le forze irachene abbiano ottenuto nuovamente il controllo del paese nel 2017, questo è rimasto frammentato e vulnerabile complici anche le forti pressioni che provengono da forze internazionali come gli Stati Uniti, l'Iran e la Turchia. Gli Stati Uniti mantengono tuttora una presenza militare significativa nel paese, anche se la loro influenza è diminuita negli ultimi anni. L’Iran, preoccupato per le politiche occidentali in Iraq, cerca di bilanciarne gli interessi rafforzando la sua influenza nel paese. La Turchia, invece, preoccupata per la sicurezza del suo confine meridionale e per la presenza curda in Iraq, ha condotto operazioni militari e continua ad inserirsi con persistente ingerenza nella politica nazionale. Le influenze esterne risultano rilevanti anche a causa della difficile situazione in politica interna: l’Iraq ha un sistema politico frammentato e un alto livello di violenza endemica derivante da conflitti tra gruppi etnici e religiosi che ne rende difficile il governo. Il paese rimane ricco di storia e cultura e soprattutto è un paese molto giovane e in crescita. La cultura irachena è un mix di influenze diverse derivanti da una varietà di gruppi etnici e religiosi, tra cui arabi, curdi e turchi.

 

La crisi climatica in Iraq

L'Iraq, con la sua ricca storia e la sua posizione geografica strategica, si trova al centro di molte sfide ambientali. La desertificazione, la scarsità d'acqua, e l'instabilità climatica sono solo alcune delle difficoltà che il paese affronta. Infatti, l’innalzamento delle temperature sommato alla diminuzione delle precipitazioni sta avendo un impatto devastante sul paese. E’ questo il costo della crisi climatica, ad oggi innegabile: la combinazione di fattori antropogenici e naturali sta contribuendo alla nascita di sfide ambientali che richiedono una risposta urgente ma soprattutto sostenibile.

Il territorio iracheno è attraversato per 2500 km dai fiumi Tigri ed Eufrate, che prima di sfociare nel Golfo Persico percorrono la pianura alluvionale mesopotamica. Le acque dei due fiumi sono fondamentali per lo sfruttamento agricolo del suolo e per lo stesso insediamento umano. Tuttavia, la diminuzione delle precipitazioni, l'innalzamento delle temperature e la cattiva gestione delle risorse idriche stanno portando a una crescente scarsità d'acqua. L'aumento della richiesta idrica da parte di una popolazione giovane e in crescita e le pratiche agricole non sostenibili stanno mettendo a dura prova questo prezioso bene, creando una vera e propria situazione di emergenza. L'agricoltura, pilastro dell'economia irachena, risulta quindi fortemente influenzata dai cambiamenti climatici in quanto le temperature estreme e la diminuzione delle precipitazioni possono portare a siccità e desertificazione, compromettendo la fertilità del suolo e minacciando la stessa sicurezza alimentare del paese. Le ondate di calore prolungate e la diminuzione delle precipitazioni compromettono la vegetazione e determinano la perdita di terre agricole fertili. Inoltre, la stessa agricoltura intensiva, il pascolo eccessivo e la deforestazione stanno contribuendo alla desertificazione. Le coltivazioni sono quindi compromesse, i raccolti minori e le comunità rurali sono costrette a fronteggiare la scarsità di risorse.

Oltre al problema della siccità, la popolazione irachena deve far fronte anche alla mala gestione delle risorse idriche del territorio. Nel 2023, l’Osservatorio Iracheno per i Diritti Umani ha riportato un forte inquinamento delle acque fluviali nazionali a causa di rifiuti industriali e versamento di acque di scarico. Le acque risultano inoltre contaminate da pesticidi, fertilizzanti e altri prodotti chimici agricoli. Tutto ciò impatta non solo nella biodiversità e negli ecosistemi, ma anche sulla salute della popolazione locale. L’esperto in politiche e strategie idriche Ramadhan Hamza ha dichiarato che le acque dei fiumi passano per sistemi di filtraggio deteriorati, con conseguenze negative sui cittadini che la bevono quotidianamente. Infine, l’Osservatorio Iracheno per i Diritti Umani ha indagato la provenienza delle acque in esame, portando alla luce che la contaminazione avviene non in territorio iracheno, bensì dai vicini paesi di provenienza, Iran e Turchia.

 

Mobilizzazione nei confronti della crisi climatica

In mezzo alle sfide ambientali e climatiche che affronta, l'Iraq sta vedendo emergere una voce determinata e impegnata composta da una varietà di gruppi, tra cui attivisti ambientali, giovani, donne e comunità locali. In un contesto in cui la crisi climatica si fonde con le complesse dinamiche regionali, gli attivisti iracheni stanno lavorando instancabilmente per sensibilizzare, mobilitare e promuovere azioni concrete volte a preservare l'ambiente e costruire un futuro sostenibile. Un numero crescente di giovani iracheni si sta distinguendo come leader climatici, portando avanti la causa della sostenibilità e dell'azione climatica. Attraverso organizzazioni locali, gruppi di attivisti e iniziative online, questi giovani sono al centro degli sforzi per mobilitare le comunità e chiedere azioni decise.

Uno dei gruppi più attivi negli ultimi tempi è stato "Green Iraq", un'organizzazione giovanile che, seguendo il motto “Yalla Nazraa” / “Piantiamo!”, ha piantato migliaia alberi e arbusti da Zakho a Basra. Green Iraq ha anche organizzato una serie di proteste e campagne per sensibilizzare l'opinione pubblica sul cambiamento climatico e per chiedere al governo di adottare misure più ambiziose per affrontare la crisi. Il coordinatore e fondatore del movimento Taha al-Kubaisy ha dato vita ad un gruppo eterogeneo e dislocato, composto da circa 15 team di volontari dislocati per tutto il paese. La campagna di piantumazione di alberi del movimento mira ad assorbire l'anidride carbonica in eccesso e i gas serra nocivi così che la vegetazione possa fungere da barriera contro le tempeste di sabbia, che sono quasi raddoppiate negli ultimi quindici anni. Il progetto, solo a Karbala, ha seminato oltre 10.000 alberi. Oltre ai risultati eccellenti, l’iniziativa ha avuto e sta avendo un forte impatto sulla sensibilizzazione della comunità: l’iniziativa vuole infatti insegnare alle comunità locali a mettere in atto il cambiamento che vogliono vedere. GI si serve inoltre di piattaforme digitali per diffondere l’iniziativa e per sensibilizzare l'opinione pubblica sul modo in cui la costruzione di grandi strutture industriali, le importazioni dall'estero e lo scarico di rifiuti danneggino l’ambiente. Le piattaforme online anonime, come quella gestita da GI, consentono agli attivisti ambientali di denunciare gli episodi rilevanti e agli abitanti del luogo a prendere iniziativa.

Oltre ai giovani, ci sono attivisti ambientali più esperti che si dedicano a promuovere una gestione sostenibile delle risorse naturali e a sensibilizzare sulla necessità di affrontare la crisi climatica. Questi attivisti spesso operano in contesti locali, affrontando questioni specifiche legate all'ambiente nelle loro comunità e ricevono supporto dalle organizzazioni non-governative locali. Un esempio è l’organizzazione Nature Iraq, accreditato presso il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) e il primo e unico affiliato iracheno a Birdlife International, nonché l'unico membro mediorientale della Waterkeeper Alliance. NI è nato con l’obiettivo di proteggere, ripristinare e preservare l'ambiente naturale dell'Iraq e il ricco patrimonio culturale di cui si nutre. L'ONG promuove il dialogo e incoraggia la gestione locale lavorando per coinvolgere le popolazioni indigene nella pianificazione dei progetti e nel processo decisionale. Il tutto, nel rispetto delle linee guida e le convenzioni internazionali per il ripristino ambientale e al contempo rafforzando le capacità delle istituzioni irachene esistenti ed emergenti.

Le ONG ambientaliste in Iraq, che ad oggi sono innumerevoli, non hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nella storia irachena. Negli anni successivi al 2003, le ONG ambientaliste erano poche e molte di esse si concentravano sulla risoluzione delle problematiche regionali derivanti dalle politiche del precedente regime. Inoltre, le prolungate tensioni sulla sicurezza dell'era pre-ISIS (2003-2013) hanno gravemente ostacolato la capacità della società civile di impegnarsi nella difesa dell'ambiente, in quanto già impegnata nella lotta contro la violenza endemica. Nel 2004, Iraqi Green Peace alla quale era stata inizialmente negata la registrazione nell'aprile 1997 a causa di obiezioni sui finanziamenti stranieri, è stata registrata come la prima organizzazione ambientale locale. Successivamente, l’intensificarsi delle sfide legate al cambiamento climatico, tra cui la scarsità d'acqua e la desertificazione, particolarmente esacerbate dalla siccità che ha colpito l'Iraq nel 2008, ha evidenziato la necessità di istituire nuove entità volte alla lotta contro le crisi ambientali. Tuttavia, le ONG ambientaliste in Iraq nel corso della storia hanno mostrato due caratteristiche contrastanti: una risposta lenta alle sfide ambientali locali e opportunità di finanziamento instabili che dipendono dall'interesse dei donatori ad affrontare le criticità locali. Ad oggi, secondo il Segretariato generale del Consiglio dei ministri, ci sono circa 5.000 ONG registrate a livello locale con permessi di lavoro, oltre a 100 filiali di ONG internazionali.

Uno studio di Arab Reform Initiative sottolinea però le difficoltà che questi attori locali devono affrontare. La maggior parte delle ONG locali non ha strutture organizzative chiare e fisse, con una tendenza al dominio dei donatori. Inoltre, l’assenza di un'adeguata supervisione da parte dei donatori può portare a pratiche di corruzione, come la cattiva gestione dei fondi o l'abuso di autorità. C’è da sottolineare che la regione in questione ha subito notevoli disagi, segnati dalle conseguenze della ribellione post-2003 contro l'autorità centrale. Tali disagi includono lo sfollamento di massa in campi temporanei, le azioni militari, l'incuria del governo, i ritardi nei processi di reinsediamento e ricostruzione, la presenza di sostanze inquinanti, mine e residuati bellici e l'intensificarsi degli effetti climatici e ambientali come la siccità, la desertificazione e il declino agricolo. Questi fattori hanno reso il paese estremamente fragile e vulnerabile, rendendolo un potenziale terreno di coltura per future ondate di violenza. Il collasso delle economie agricole locali, la quasi assenza di servizi essenziali e il deterioramento delle infrastrutture idriche e ambientali hanno ulteriormente aggravato la situazione.

Gli attivisti in Iraq, che lavorino attraverso movimenti meno istituzionalizzati o all’interno di strutture non-governative più assestate, si trovano dunque ad affrontare delle sfide legate alla sicurezza personale e all'instabilità nella regione. La situazione geopolitica complessa contribuisce infatti ad ostacolare gli sforzi di attivismo climatico, oltre che a supportare un problema sistemico di impedimento dato dal governo stesso. La limitatezza delle risorse finanziarie e logistiche, derivante dalla noncuranza delle istituzioni, rappresenta infatti un ostacolo per l'attivismo locale. La mancanza di finanziamenti e supporto può limitare la portata delle iniziative e la loro capacità di incidere sulle politiche a livello nazionale.

Nel novembre 2022, Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto che documenta come le autorità irachene non siano riuscite a garantire la responsabilità del personale di sicurezza e dei gruppi armati sostenuti dallo Stato, responsabili dell'uccisione, della mutilazione e della scomparsa di centinaia di manifestanti e attivisti dal 2019. Human Rights Watch ha recentemente ribadito che gli attivisti ambientali iracheni devono affrontare minacce, molestie e detenzioni arbitrarie da parte di funzionari governativi e gruppi armati. Il 16 febbraio 2023, l'ambientalista iracheno Jassim Al-Asadi, fondatore dell'organizzazione non governativa locale Nature Iraq, è stato rilasciato dopo essere stato rapito due settimane prima da un gruppo armato non identificato. In un'intervista televisiva, Al-Asadi ha dichiarato di essere stato sottoposto alle "più gravi forme di tortura" con "elettricità e bastoni" durante la sua prigionia e di essere stato spostato da un luogo all'altro. Il rapimento di Al-Asadi è solo uno tra una serie di atti di ritorsione contro gli attivisti ambientali, apparentemente volti a fermare la loro attività di sensibilizzazione. "Invece di compiere passi decisivi per risolvere i problemi ambientali nazionali, le autorità irachene stanno attaccando il messaggero", ha dichiarato Adam Coogle, il vicedirettore per il Medio Oriente di Human Rights Watch. "Decimare il movimento ambientalista del Paese non farà altro che peggiorare la capacità dell'Iraq di affrontare le crisi ambientali che riguardano una serie di diritti fondamentali”. Sebbene il governo iracheno sembri aver preso provvedimenti per garantire il rilascio di Al-Asadi, in altri casi le stesse autorità irachene si sono rese responsabili di ritorsioni contro gli attivisti ambientali in risposta ai loro sforzi per attirare l'attenzione sulle violazioni dei diritti umani legate all'ambiente e al clima del Paese. Alla fine del 2019, le autorità irachene hanno detenuto arbitrariamente Salman Khairalla, co-fondatore di Humat Dijlah (Associazione dei Protettori del Fiume Tigri), spingendo l'allora relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani a intervenire per chiederne il rilascio. Dopo essere stato rilasciato su cauzione, Khairalla ha dichiarato a Human Rights Watch di ritenere che i gruppi armati e i funzionari iracheni stiano prendendo di mira i membri chiave del movimento ambientalista per metterli a tacere.

Nonostante le sfide, l'attivismo climatico in Iraq sta contribuendo a una crescente consapevolezza riguardo alle questioni ambientali. Il cambiamento culturale è in corso, con sempre più persone che riconoscono l'importanza di preservare l'ambiente per le generazioni future. In un contesto in cui la crisi climatica minaccia l'equilibrio ecologico e la stabilità del paese, l'attivismo climatico in Iraq emerge come una forza vitale per il cambiamento. Gli attivisti, giovani e meno giovani, donne e uomini, stanno lavorando instancabilmente per far udire la loro voce, promuovere la consapevolezza e spingere per azioni decisive. Attraverso il loro impegno, l'Iraq guarda al futuro con la speranza di divenire una nazione più sostenibile e preparata ad affrontare le sfide della crisi climatica.

 

Save the tigris and the Iraqi Marshes

Secondo l'UNICEF, il Medio Oriente e il Nord Africa sono la regione più povera d'acqua al mondo, eppure i corsi d’acqua iracheni sono tra le fonti di sostentamento più importanti a livello locale. Una delle iniziative portate avanti dall’attivismo iracheno è infatti “Save the Tigris and the Iraqi Marshes”, una campagna volta a promuovere la conservazione del fiume Tigri e delle sue paludi. Il fiume Tigri è considerato uno delle arterie fondamentale per la regione. La sua importanza deriva dalla storia, la cultura e biodiversità della regione, e la campagna in questione mira a proteggerlo da minacce come la costruzione di dighe, l'inquinamento e altre attività che potrebbero danneggiarne l’ecosistema. Gli obiettivi includono la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle questioni ambientali legate al Tigri, la difesa dei diritti delle comunità locali che dipendono dal fiume e la prevenzione di progetti che potrebbero minacciare la sua integrità ecologica. La campagna affronta una serie di minacce al fiume Tigri, tra cui la costruzione di dighe, l'impoverimento idrico, la deforestazione, l'inquinamento e altre attività che potrebbero compromettere l'ecosistema fluviale e le comunità che dipendono da esso.
L’importanza delle sue acque risiede anche nel ruolo che le sue paludi hanno giocato nella storia irachena. Le paludi dell’Iraq sono una zona umida di quasi 14.000 miglia nel sud del Paese.

L'ecosistema è alimentato a nord-est dai fiumi Eufrate e Tigri e si estende fino all'Iran sudoccidentale. Per generazioni, le tribù irachene in questo ecosistema hanno allevato pesci e bufali d'acqua che alimentano la sicurezza alimentare della zona. Nel 1991, a seguito della nascita di una rivolta contro il dominio ferreo del dittatore iracheno Saddam Hussein, molti fuggirono nelle paludi meridionali per evitare le ripercussioni del brutale regime di Hussein. Per stanarli, Hussein deviò i fiumi Tigri ed Eufrate, bruciò i letti di canne e inquinò le lagune. Le paludi rimasero asciutte fino al 2003, quando Azzam Alwash, ingegnere idraulico e ambientalista iracheno, guidò un gruppo di uomini armati per riaprire il flusso d'acqua nelle paludi. Nel 2013 è stato insignito del Goldman Environmental Prize, in particolare per il suo impegno nel ripristino delle saline nel sud dell'Iraq, distrutte durante il regime di Saddam Hussein. Oggi l'acqua può raggiungere quasi i due metri di altezza in alcune zone. Ma nel 2015 è scesa al minimo storico di 40 centimetri. All'inizio di marzo 2023, l'acqua era a 90 centimetri, ma il caldo torrido estivo ha contribuito a far scendere ulteriormente il livello dell'acqua. Saddam è scomparso da tempo eppure le paludi, tanto importanti per le comunità locali, continuano a soffrire a causa della noncuranza delle istituzioni governative.

Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, l'agricoltura è la terza fonte di occupazione del Paese e il principale datore di lavoro per la popolazione rurale. È anche un'importante fonte di occupazione per le donne irachene. Secondo uno studio del 2021, una famiglia irachena su 15 ha visto un membro della famiglia costretto a migrare dalle aree colpite dalla siccità, mentre uno studio dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni dello stesso anno ha rilevato che la scarsa qualità dell'acqua ha costretto all'esodo circa 20.000 persone. Nel 2021, la migrazione forzata ha dato il via a una crisi internazionale quando alcune migliaia di iracheni sono volati in Bielorussia e hanno dichiarato di essere stati costretti a tentare l'attraversamento della Polonia. Almeno 11 persone sono morte a causa delle estreme condizioni invernali. Nella regione delle paludi, in particolare, più di 50 famiglie sono emigrate: mentre le paludi perdono abitanti, molti di coloro che hanno scelto di rimanere nella regione sono al limite della sopportazione.


Un aspetto chiave dell'iniziativa “Save the Tigris” è proprio il coinvolgimento attivo delle stesse comunità locali nella difesa del Tigri. Ciò include la partecipazione di attivisti, gruppi culturali, organizzazioni non governative (ONG) e altri soggetti interessati che lavorano insieme per proteggere il fiume e le aree circostanti. Inoltre, il progetto collabora con organizzazioni internazionali, attivisti globali e altre iniziative simili che lavorano per la conservazione dei fiumi e la promozione della sostenibilità ambientale. L'iniziativa Save the Tigris è un esempio di come l'attivismo ambientale possa essere strettamente intrecciato con la preservazione della cultura e della storia, specialmente in regioni che hanno una ricca eredità storica come il Medio Oriente.


Alessia Massari


Bibliografia e fonti:

https://tcf.org/content/commentary/the-space-for-iraqi-climate-activism-is-dangerously-small-and-shrinking/#:~:text=The%20Current%20Scene,climate%20change%20and%20poor%20governance

https://www.arab-reform.net/publication/environmental-mobilization-in-iraq-ngos-and-local-actors-and-the-challenge-of-climate-change/

https://www.rudaw.net/english/middleeast/iraq/23022023

https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13549839.2021.1933927

https://escholarship.org/content/qt4hq3v0ht/qt4hq3v0ht.pdf

https://www.insideover.com/politics/the-role-of-iraq-in-xxi-century-geopolitics.html

https://www.mei.edu/publications/iraqs-new-geopolitics-and-importance-regional-engagement-view-brussels

https://www.iraqiembassy.us/page/iraqs-history-an-interactive-timeline

https://savethetigris.org/

https://www.internationalrivers.org/news/blog-from-the-rivers-mouth-saving-the-tigris-river-in-iraq/

https://www.iraqicivilsociety.org/archives/category/save-the-tigris-and-marshes

https://reliefweb.int/report/iraq/iraqs-waters-contaminated-feces-oil-and-medical-wastes

https://www.newarab.com/features/youth-activists-iraq-are-waging-green-revolution