I mass media, la crisi climatica e le migrazioni climatiche

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I mezzi di comunicazione di massa

Per “mezzi di comunicazione di massa” – mass media – s’intende un insieme di tecniche utilizzate per elaborare e trasmettere informazioni al pubblico. La scrittura, l’audiovisivo, la televisione, la radio, il cinema, la stampa e Internet sono solo alcuni dei mezzi di trasmissione utilizzati nella comunicazione di massa. I principali vantaggi dei mass media sono la loro capacità di raggiungere rapidamente o contemporaneamente un numero significativo di persone in diversi luoghi, la loro modalità di produzione della comunicazione altamente organizzata e il fatto che tutti i messaggi sono generalmente accessibili. Infatti, nelle comunicazioni “di massa” un unico messaggio raggiunge un gran numero di persone a differenza della comunicazione “interpersonale”, che comporta lo scambio bidirezionale di messaggi tra due o più persone. La comunicazione “uno-molti”, è nata recentemente, con l’introduzione di Internet, alla fine degli anni Novanta. Ciò significa che qualsiasi persona con accesso ad Internet può comunicare virtualmente con tutti gli utilizzatori della rete stessa. La comunicazione di massa può dunque aiutare a diffondere informazioni, come notizie di attualità o campagne di sensibilizzazione su questioni sociali. Inoltre, può fornire intrattenimento educativo, come documentari o programmi televisivi didattici e può aiutare a promuovere la comprensione di tematiche ai più non conosciute. Tuttavia, è importante essere consapevoli anche dei potenziali rischi della comunicazione di massa, come la disinformazione, la propaganda e l’influenza commerciale. Questo spesso avviene perché i media sono soggetti a pressioni commerciali o politiche che possono portare a una distorsione delle informazioni. Inoltre, i media spesso devono competere per l’attenzione del pubblico, il che può portare a una tendenza a concentrarsi su argomenti sensazionali o controversi, anche se non totalmente accurati. 

 

La disinformazione: come, cause, conseguenze

La disinformazione, detta anche disinformazione deliberata, è pertanto la diffusione di informazioni false o distorte con l’intenzione di ingannare o fuorviare il pubblico. Questa può essere diffusa da individui o gruppi che hanno un interesse a distorcere la percezione pubblica di un evento, ma può essere anche involontaria, nel caso in cui vengano divulgate informazioni distorte senza controllare fonti o riportando inesattezze o informazioni parzialmente corrette. In questo caso si può parlare di misinformation. La disinformazione può penetrare nella comunicazione dei media anche attraverso la propaganda: uso di informazioni false o distorte per promuovere un particolare punto di vista, sia da parte di governi che da parte di gruppi di interesse. 

 

Disinformazione e crisi climatica

Nonostante oltre il 97% degli esperti sia unanime nel parlare di cambiamento climatico causato dall’uomo, la disinformazione può influenzare anche la comunicazione riguardo la crisi climatica sotto diversi punti di vista. Infatti, non è raro riscontrare casi di  disinformazione non solo da coloro che si oppongono al cambiamento climatico, che spesso sostengono che “il clima è sempre cambiato” attuando una politica di cherrypicking – ossia selezionando le informazioni rilevanti solo per rafforzare le proprie asserzioni- ma soprattutto dalle compagnie petrolifere, che sono responsabili della maggior parte delle emissioni globali di CO2. La disinformazione, anzitutto, può portare a una distorsione della percezione pubblica del problema. Infatti, le persone che sono esposte a informazioni false o distorte sono meno propense a credere che il problema sia reale o grave. Questo può rendere più difficile sensibilizzare il pubblico sui cambiamenti climatici e di conseguenza promuoverne l’azione. In secondo luogo, la disinformazione può portare a una polarizzazione del dibattito sul clima. Le persone che credono in informazioni false o inaccurate sulla crisi climatica sono più propense a respingere le informazioni scientifiche e dunque a sostenere posizioni negazioniste. In terzo luogo, la disinformazione può ostacolare lo sviluppo di soluzioni alla crisi climatica. Le persone che credono in informazioni false o distorte sono di conseguenza meno propense a sostenere politiche e iniziative che mirano a ridurre le emissioni di gas serra e ciò può rendere più difficile raggiungere gli obiettivi di mitigazione e/o adattamento previsti dalla comunità internazionale. I negazionisti del clima sono i protagonisti di questa ondata di disinformazione: spesso diffondono informazioni distorte sul cambiamento climatico, come – tra le tante – l’affermazione che il riscaldamento globale non è reale o che è causato da fattori naturali. Tra i soggetti che influenzano l’opinione pubblica verso il negazionismo più ostile, troviamo anche personalità influenti nella scacchiera internazionale come politici o rappresentanti di Enti e Istituzioni. Tra di essi, l’ex presidente statunitense Donald Trump, che in più di un’occasione ha sottostimato l’emergenza climatica sostenendo ironicamente “che molte più persone avrebbero avuto una casa al mare” e definendo la stessa “una bufala inventata dai cinesi”. Inoltre, anche i gruppi di interesse che beneficiano del consumo di combustibili fossili spesso diffondono informazioni false o distorte sulle energie rinnovabili, come l’affermazione che sono costose o inefficienti. Queste informazioni arrivano a scoraggiare l’adozione di soluzioni rinnovabili, che sarebbero invece essenziali per ridurre le emissioni di gas serra. Una delle strategie utilizzate dalle grandi compagnie petrolifere vede addirittura l’utilizzo dell’influencer marketing: la campagna “Shell Ultimate Road Trips”, è una delle più recenti azioni mosse dalle aziende di combustibili fossili per sviare la propria responsabilità per la crisi climatica e ostacolare la transizione verso fonti energetiche rinnovabili. Infatti, nel gioco online “Fortnite”, i giocatori possono fare il pieno presso una stazione Shell, vincere carte regalo Shell e sono inoltre spinti a postare sui social media uno screenshot del gioco con l’hashtag #Shellroadtrips. Secondo Media Matters, almeno 6 streamer su Twitch, seguiti da quasi 6 milioni di persone, hanno promosso questa campagna. Altri influencer e stremare lo hanno fatto anche su altre piattaforme come Instagram, Youtube e TikTok. L’obiettivo di campagne come questa è entrare nella quotidianità dei giovani per cambiarne la percezione dei combustibili fossili. In questo modo, l’industria petrolifera si infiltra nella platea di giovani potenziali consumatori che, figli degli anni di lotta alla crisi climatica, potrebbero essere ostili ai propri prodotti. 

In questo quadro, i social media sono il mezzo più utilizzato per diffondere informazioni false sulla crisi climatica. Questo è dovuto al fatto che i social media consentono a chiunque di pubblicare contenuti, anche se non sono accurati o verificabili: ciò porta alla diffusione massiccia di contenuti distorti che influenzano negativamente l’opinione pubblica. Alla diffusione di “bufale” sul clima online, va sommata anche la disinformazione portata avanti dai mass media tradizionali. Uno studio di Greenpeace ha rilevato, infatti, che oltre il 20% delle notizie diffuse su giornali e TV tratta argomenti di opposizione alla transizione energetica. La ricerca ha esaminato come i cinque quotidiani nazionali più diffusi e i telegiornali serali hanno raccontato la crisi climatica da gennaio ad aprile 2023. Lo studio ha anche esaminato 20 delle testate di informazione più seguite su Instagram. I risultati mostrano che, nel primo quadrimestre del 2023, i principali quotidiani italiani hanno pubblicato in media due articoli al giorno che hanno almeno citato la crisi climatica. Tuttavia, meno della metà degli articoli sono stati realmente dedicati al problema. Si tratta di risultati inferiori alla media del 2022 e mostrano che, quando non si verificano eventi estremi come esondazioni o tornadi, le persone non prestano attenzione al riscaldamento globale. Il fatto che la crisi climatica non abbia ricevuto abbastanza attenzione nella prima parte dell’anno è dimostrato proprio dal fatto che quasi mai è stata trattata in modo significativo. Invece, la pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende automobilistiche, aeree e crocieristiche – tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico – continua ad occupare un ampio spazio: la media per ogni quotidiano esaminato era di quattro pubblicità alla settimana. Anche l’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto della crisi climatica ha mostrato l’influenza del mondo economico sulla stampa: in effetti, le aziende e gli imprenditori sono al primo posto (25%), seguite da politici e istituzioni (15%) e associazioni ambientaliste (11%), mentre scienziati e i tecnici sono solo al 7%. Nella comunicazione, ciò che conta non è solo quanto si parli di un fatto, ma soprattutto come. Le parole sono infatti il mezzo principale con cui si può influenzare l’informazione sulla crisi climatica. Anche solo il modo in cui  viene definito il problema può avere un impatto significativo su come le persone lo percepiscono. Termini come “cambiamento climatico” o “riscaldamento globale”, vanno a sottolineare gli aspetti graduali e naturali del problema. D’altro canto, termini come “crisi climatica” o “emergenza climatica” sottolineano la gravità e l’urgenza del problema. 

 

La disinformazione nelle migrazioni climatiche: tra comunicazione e propaganda

Come per la crisi climatica, anche per le migrazioni, i mezzi di comunicazione hanno un ruolo fondamentale nei processi di installazione del fenomeno nell’immaginario collettivo. Dal 2011, durante la cosiddetta Emergenza Nord Africa, i termini “crisi” ed “emergenza” sono stati sempre più utilizzati per descrivere il fenomeno migratorio verso i Paesi europei. Ciò ha dato al fenomeno una connotazione negativa eccezionale piuttosto che strutturale. Quindi, negli ultimi decenni, i migranti che attraversano le frontiere sono stati visti come una diffusa emergenza da gestire a livello nazionale ed europeo e come una “crisi” sociale, culturale e politica. Ciò ha portato ad un’interpretazione semplicistica del fenomeno e alla giustificazione di politiche sempre più restrittive. Nonostante gli immigrati irregolari siano solo una parte minore della popolazione straniera totale, il fenomeno dell’immigrazione irregolare ha ricevuto negli ultimi anni una maggiore attenzione mediatica. L’impatto di questa ipervisibilità sull’opinione pubblica è più importante di un’analisi oggettiva dei dati, considerando anche come alcuni politici ne hanno fatto oggetto di propaganda e polemica. La forte discrepanza tra il fenomeno stesso e la sua rappresentazione, che è inserita in un frame allarmista e retorico dell’invasione, alimenta una forte percezione di minaccia. Di fatto, a causa delle politiche di esternalizzazione securitaria delle frontiere dell’UE, l’immigrazione è diminuita notevolmente ma l’aumento della mediatizzazione ha portato ad un’enorme disparità tra ciò che accade e come è raffigurata da media e politica. Le narrazioni sulla migrazione sono infatti dominate da un tono cupo di emergenza, paura e dolore. Basti pensare che le notizie più importanti riguardano principalmente “sbarchi” e naufragi, il cosiddetto degrado urbano, lo sfruttamento e il conflitto nell’agricoltura e nel caporalato, e i crimini, con una eccessiva rappresentazione negativa dei migranti. 

La copertura mediatica del fenomeno e la retorica politica, che descrivono l’Europa come “invasa” da persone che fuggono dai conflitti, dal cambiamento climatico o dalla ricerca di una vita migliore, hanno aumentato l’ansia dell’opinione pubblica nei confronti della migrazione e delle richieste di asilo in Europa. Questa ansia è una vera e propria “paura dell’invasione”: la crisi migratoria ha seminato paura e incertezza, complici le narrazioni offerte dai media, creando un circolo vizioso in cui i mezzi di comunicazione di massa hanno influenzato la comprensione del fenomeno e delle politiche relative ad esso. Sono proprio le narrative mediatiche hanno contribuito a confondere la migrazione con l’insicurezza, creando un terreno fertile per reazioni xenofobe e populiste. Il numero di partiti in Europa che si oppongono agli immigrati è aumentato negli ultimi anni a causa di questa “politica della paura”. Come visto in precedenza, anche se le migrazioni indotte dal cambiamento climatico stanno diventando sempre più numerose, il nesso rimane controverso e ciò può portare a posizionare la questione in modo sensazionale utilizzando una narrazione stereotipata. 

In altre parole, quando le migrazioni ambientali vengono presentate dai media, di solito sono associate a problemi di sicurezza e rischi, piuttosto che a sforzi per ridurre la vulnerabilità agli effetti del cambiamento climatico. Le mobilità legate ai cambiamenti climatici possono prendere molte forme, dipendendo dal contesto e, almeno in parte, sono influenzate dalle relazioni di potere e disuguaglianza esistenti. Per comprendere completamente il regime di mobilità climatica, è necessario analizzare il potere della narrazione e delle rappresentazioni: di fatto, la relazione tra il cambiamento climatico e la migrazione ha molte implicazioni sia per il presente che per il futuro, e il modo in cui la sua gestione attualmente è basata su presunte percezioni di rischio e incertezza. Quando si usano parole come “massa”, “biblico”, “esodo” e “torrente”, si pensa a scenari apocalittici di migrazioni epocali causate dal cambiamento climatico: queste storie sono state utilizzate nei film come Here Comes the Flood, The Human Tsunami e The Human Tide, che riflettono queste tendenze. Il collegamento tra lo spettro della migrazione di massa e il cambiamento climatico è una pratica pericolosa basata sul “mito” piuttosto che sui fatti. La comunicazione mediatica sulle migrazioni climatiche è stata strumentalizzata, portando a forme di “climatizzazione della sicurezza”, che è l’uso del clima per giustificare l’adozione di misure di chiusura sia per il finanziamento della guerra che per la gestione dei flussi migratori. I partiti di destra o i “populisti”, come sostiene Latour, manipolano spesso queste stesse narrazioni portando ad una percezione negativa del fenomeno e ad un rifiuto sociale dello stesso.

 

Alessia Massari con la collaborazione di Sara Mariani

 

Fonti e sitografia

https://www.voiceoverfoundation.org/it/hub/t/giustizia-ambientale/7/le-multinazionali-del-fossile-continuano-la-loro-strategia-di-disinformazione-sul-clima-attraverso-gli-influencer-e-i-gamer/lbve5fdgff 

https://changes.unipol.it/environment/crisi-climatica-fake-news-e-social-media

https://www.reteclima.it/bufale-clima/

https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/18514/nuovo-studio-di-greenpeace-su-media-e-clima-su-giornali-e-tv-oltre-il-20-delle-notizie-diffonde-argomenti-di-opposizione-alla-transizione-energetica/

https://www.treccani.it/enciclopedia/comunicazioni-di-massa/

https://video.repubblica.it/mondo/trump-contro-gli-ambientalisti-con-il-riscaldamento-globale-avremo-piu-case-sulla-spiaggia/420479/421415

Fontanari, E., & Ambrosini, M. (2018). Into the Interstices: Everyday Practices of Refugees and Their Supporters in Europe’s Migration ‘Crisis’. Sociology, 52(3), 587-603. 

Musarò. P., Parmiggiani P. (2022). Ospitalità mediatica. Le migrazioni nel discorso pubblico, Milano: FrancoAngeli

Latour B. (2020). La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, Meltemi