La costruzione dell’alterità. Seconda parte

Foto di Matheus Viana su Pexels

La costruzione dell’alterità nell’Europa moderna è un processo che è iniziato a partire dal Cinquecento, quando si vennero costituendo i grandi domini coloniali spagnolo, portoghese, olandese ed inglese.

Per giustificare le politiche di sfruttamento delle risorse dei territori conquistati, la riduzione in schiavitù delle popolazioni indigene e, in alcuni casi, come quello dei popoli sottomessi dagli spagnoli, il genocidio, si arrivò a considerare questa “umanità altra” come una forma di subumanità. Non a caso gli indios furono definiti «omuncoli».

Quando l’Europa esalta se stessa come portatrice dei valori universali della libertà, dell’eguaglianza e della democrazia, contro ogni forma di potere dittatoriale, sembra dimenticarsi dei crimini che alcuni paesi europei hanno commesso nei confronti di altri popoli nei secoli passati e che, in forme diverse, ancora commette contro uomini e donne che da Sud e da Est cercano di raggiungere il suo territorio, sperando di trovarvi le condizioni per una vita migliore.

Ma il migrante, essendo visto come espressione di un’umanità “diversa”, non viene quasi mai riconosciuto come titolare del diritto alla mobilità, che invece consideriamo per noi stessi uno dei fondamentali diritti naturali in quanto inerente alla sfera della libertà personale.

Mentre, ad esempio, riteniamo del tutto legittima l’aspirazione ad una vita migliore che spinge  tanti nostri giovani ad andare all’estero per cercare lavoro, non facciamo lo stesso con i giovani provenienti dai paesi africani e asiatici.

Infatti, o li si vede come soggetti pericolosi, capaci di minare la stabilità del nostro consorzio sociale o, nel caso migliore, come persone vulnerabili, vittime di trafficanti senza scrupoli che si approfittano della loro situazione di estremo bisogno e della loro “ingenuità”.

Il disconoscimento dell’aspirazione ad una vita migliore è evidente anche nella separazione tra migranti legittimi e illegittimi. I primi sono tutti coloro che fuggono da paesi in guerra o da regimi dittatoriali, ovvero i richiedenti asilo, i secondi sono quelli che vengono definiti migranti economici, ovvero persone in cerca di un lavoro e di una vita più degna di essere vissuta. Ebbene, mentre ai primi si riconosce il diritto ad essere accolti, ai secondi si attribuisce l’etichetta di migranti irregolari, alimentando nei loro confronti un atteggiamento di diffidenza e di sospetto.

Ma lo stesso rifugiato non è portatore a pieno titolo del diritto alla mobilità, in quanto non può decidere dove stare: la maggioranza dei migranti che giungono in Italia vorrebbe andare altrove, soprattutto nei paesi del Nord Europa, ma il Trattato di Dublino lo impedisce. 

In conclusione, se non si smantella l’immagine del migrante come essere umano diverso da noi e quindi portatore di diritti limitati, non si potrà mai attuare una politica dell’accoglienza inclusiva e rispettosa della dignità altrui.

Fonti: sito di Comune.