Il 23 ottobre la ONG Sea-Watch ha emesso un comunicato molto duro in cui si denuncia il naufragio di un’imbarcazione a 30 miglia nautiche da Lampedusa, in cui cinque persone sono risultate disperse.
Una sua nave aveva ricevuto la segnalazione da Malta ma non ha potuto intervenire perché bloccata a Palermo da un fermo amministrativo.
In seguito a questo tragico evento è stato depositato un ricorso amministrativo contro il fermo della nave che impedisce all’ Ong di compiere le sue operazioni di salvataggio in mare.
La nave era bloccata nel porto di Palermo dall’inizio di settembre (dopo aver portato al sicuro 353 persone) a causa di un provvedimento di fermo deciso dagli ispettori della guardia costiera che hanno addotto, secondo i responsabli della Ong, “motivazioni decisamente pretestuose, più di natura politica che legale”.
La Sea-Watch 4 (questo il nome dell’imbarcazione) avrebbe trasportato un numero di persone superiore rispetto a quelle per cui è abilitata. Ma le persone portate a bordo erano state salvate nell’ambito di operazioni di emergenza, e il diritto internazionale prevede l’obbligo di soccorrere chiunque si trovi in pericolo in mare.
Da marzo a oggi il governo italiano ha bloccato sei navi umanitarie, senza fornire alternative per sopperire alla loro assenza in mare, ostacolando così di fatto operazioni di ricerca e soccorso.
Durante il blocco quasi duecento persone sono annegate nel Mediterraneo in sei diversi naufragi per cui il comunicato conclude così ” Non esistono parole che possano esprimere la nostra frustrazione e il nostro dolore di fronte alla perdita di queste vite umane che ci è stato impedito di salvare. Noi andiamo avanti e faremo quanto in nostro potere per ottenere giustizia.”
A fine settembre sempre la guardia costiera aveva impedito l’imbarco sulla Mare Jonio, nave della ONG Mediterranea-Saving Humans, del team di ricerca e soccorso, formato da paramedici ed esperti in diritti umani, bloccando così una nuova missione di soccorso.
La motivazione era che i profili dei tecnici non avevano alcuna attinenza con la tipologia di servizio svolto dalla Mare Jonio. Una motivazione anche in questo caso pretestuosa: la Mare Jonio, è vero, non è registrata come nave di ricerca e soccorso ma piuttosto come mercantile con funzioni di cargo, monitoraggio e sorveglianza; il Registro Navale Italiano l’ha però riconosciuta come naviglio attrezzato per search and rescue. La guardia costiera evidentemente ha disconosciuto questo riconoscimento.
Gli avvocati di Mediterranea hanno però presentato ricorso contro il provvedimento, ottenendo giustizia.
Queste vicende non possono che amareggiarci e nello stesso tempo disorientarci. Avevamo sottolineato come la revisione dei decreti sicurezza fosse un gran passo avanti rispetto alle politiche migratorie del precedente governo, anche se ne avevamo sottolineato alcuni limiti (v. l’articolo “Da criminali a persone” sul sito di El Comedor Giordano Liva), ma il problema è più di fondo.
Come sottolinea il Forum Per cambiare l’ordine delle cose, occorre modificare radicalmente l’approccio normativo sia rispetto al soccorso in mare che rispetto all’accoglienza.
Non è più possibile continuare a guardare all’azione delle ONG con sospetto, ma va invece riconosciuta la meritorietà del loro operato.
Le ONG svolgono di fatto un’azione sussidiaria rispetto al governo e all’Unione europea che, dopo l’abolizione dell’operazione Mare Nostrum, hanno abbandonato le attività di soccorso in quella vasta zona che è stata riconosciuta di competenza libica e dove molto frequentemente si verificano i naufragi.
Così come è importante elaborare un nuovo paradigma culturale rispetto all’accoglienza, smettendo di ritenere l’immigrazione un problema di ordine pubblico e vedendolo come risorsa sociale.
Come ha recentemente affermato Mimmo Lucano, ad esempio, nessuno pensa ancora a modificare la legge Bossi-Fini che “rappresenta l’anticamera dello sfruttamento con quello scambio indegno tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro” e nessuno coglie l’importanza dell’immigrazione per il ripopolamento dei borghi abbandonati.
Sostiene Lucano che “La questione meridionale potrebbe essere in parte risolta anche attraverso l’accoglienza virtuosa. A Riace, negli anni novanta, non esistevano quasi più né agricoltura, né allevamento. L’unica possibilità per i pochi abitanti rimasti era fuggire. Poi il sistema di accoglienza creato da noi ha cambiato tutto. Centinaia di profughi hanno rimesso in moto l’economia del paese.“
In conclusione, pur con il dovuto apprezzamento della svolta attuata dal governo rispetto ai decreti sicurezza, la strada da fare è ancora molto lunga…
Fonti: siti di Sea-Watch, Mediterranea Saving Humans, Forum per cambiare l’ordine delle cose; Il Manifesto del 10 ottobre