Non sono morti

Come tutti sanno (anche se sulla stampa in realtà non è stato dato il dovuto risalto alla vicenda) un altro naufragio si è verificato nei giorni scorsi nel Mediterraneo, a circa 30 miglia a nord delle coste libiche: vi hanno perso la vita 6 persone tra cui un bambino di appena sei mesi.

Si chiamava Joseph e veniva dalla Guinea: era con più di 100 persone su un gommone talmente stracarico che il pianale ha ceduto.

 Le altre 111 persone, ormai già tra le onde e aggrappate ai galleggianti, sono state salvate dalla nave di Open Arms, una delle tante ONG demonizzate dal precedente governo e mal tollerate dal nuovo.

Come si legge in un comunicato di  Mediterranea Saving Humans “Solo il coraggio, la professionalità e il cuore del meraviglioso equipaggio e dello staff medico di Emergency a bordo hanno evitato una tragedia di proporzioni ancora più grandi.  Sei vite sono state inghiottite da quello che sembra un macabro gioco, una roulette russa, alla quale vengono sottoposti i profughi dalle criminali politiche europee della frontiera. Il più piccolo, Youssef, sei mesi. Le grida della sua mamma sono l’atto di accusa più potente di ogni tribunale, per crimini contro l’umanità.

ALARM Phone aveva già da tempo comunicato che un barcone stava per naufragare, ma le autorità italiane non sono intervenute….aspettavano che lo facessero i libici…..poi finalmente è arrivata Open Arms. Come sostiene Mediterranea”Queste persone, questi esseri umani, non sono morti. Sono stati fatti morire. Sono stati uccisi“. 

Di fronte ad episodi come questi, la penalizzazione di fatto dei soccorsi in mare attuata dal governo italiano (di cui abbiamo parlato in un articolo precedente dal titolo Un necessario cambio di paradigma) non può non generare sdegno. 

Lo stesso sdegno espresso dal giurista  e filosofo della politica Luigi Ferrajoli.

 Nel corso di un’audizione presso la Camera dei Deputati per una  valutazione delle norme del recente Decreto Immigrazione, ha infatti dichiarato che, con l’articolo che limita o vieta l’accesso, il transito e la sosta delle Ong nel mare italiano, si indebolisce ulteriormente il sistema di ricerca e salvataggio.
Inoltre si mette in discussione “un principio irrevocabile di civiltà giuridica: ovvero il mutuo aiuto come diritto-dovere, che fonda il legame sociale e segna il passaggio da individuo isolato a membro della comunità. In altre parole, il diritto al soccorso come prima espressione di quel diritto alla vita sul quale poggia l’intero sistema dei diritti fondamentali.

La scorsa settimana il Tribunale di Ragusa ha emesso una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Open Arms per il salvataggio, nel 2018, di 218 persone: per l’ennesima volta quindi la giustizia italiana si è dichiarata a favore delle ONG contro i provedimenti del governo. E, tuttavia, l’ostilità verso le Organizzazioni non governative  continua ad essere forte, così come la campagna di delegittimazione che tende ad assimilare l’attività di soccorso in mare ad un’azione illegale. 

 Da qui la decisione di dare vita, da parte delle principali ONG e di illustri giuristi ed  esperti in materia di immigrazione, ad un “Comitato per il diritto al soccorso”. 

Una “lobby democratica”, come la definisce il sociologo Luigi Manconi, che ha anche lui aderito al comitato, un gruppo di pressione che si pone i seguenti obiettivi: 

  • contribuire a formare nell’opinione pubblica un orientamento a sostegno dell’attività di salvataggio
  •  facilitare le relazioni tra le Ong e le istituzioni nazionali (in primis ministero dell’Interno. ministero dei Trasporti e Guardia Costiera), in termini di operativa collaborazione
  • promuovere una discussione pubblica intorno al tema del diritto al soccorso come principio essenziale di civiltà giuridica

Come giustamente afferma Manconi “La posta in gioco è cruciale: impedire che quel diritto irrinunciabile finisca sommerso dalle acque del Mediterraneo e dal nostro silenzio.”

Fonti: sito di Mediterranea Saving Humans; articolo su Repubblica dell’11 Novembre