Quando ho iniziato a informarmi sul bando del Servizio Civile e sui progetti proposti dalle varie Associazioni avevo già la chiara intenzione di mettere le mani in pasta. E tra le tante proposte a Pisa e nella Regione, quella del Comedor mi è sembrata la più affascinante e la più aderente al mio percorso formativo, basato principalmente sullo studio delle lingue e delle letterature (e delle culture) straniere non europee. In realtà poi ho scoperto che avrei imparato ancora tante cose nuove, e che di tutta la mia formazione sarei andata ad allenare certi muscoli mentali che l’università non valorizza più tanto, così accademica e limitata dalle necessità della ricerca: con il Servizio Civile del Comedor si sviluppa l’elasticità, l’apertura, la curiosità anche un po’ disordinata verso tutto ciò che è altro da sé che ci fa crescere sempre.
Sono rare le volte in cui si è proprio sicuri sicuri di aver fatto la scelta giusta, o almeno per me è così; col Comedor invece ci ho azzeccato, al 100%!
La Scuola di Italiano per Migranti è stata la freccia di Cupido che mi ha fatto innamorare di questa nuova vita: vedere le ragazze e i ragazzi che frequentavano i nostri locali e essere presenti ai loro piccoli e grandi passi in avanti nell’apprendimento e nella socializzazione (in un mondo completamente nuovo per loro!) è una cosa che riempie il cuore di gioia e fa dimenticare per qualche momento tutte le brutture del mondo nei confronti dei migranti. Anche nei momenti più complicati per me dopo la morte di mia madre, dopo una lunga giornata tra studio e lavoro, passate a resistere e a non pensare… in tutti quei momenti in cui proprio non avevo più voglia di uscire per raggiungere la scuola serale, pensavo alla dedizione dei miei compagni volontari e agli studenti: due secondi dopo inforcavo la bici. Quando l’emergenza Covid ci ha imposto di rinunciare a questa attività, ne abbiamo tutte e tutti sentito la mancanza. Abbiamo provato con la Didattica a Distanza ma è inutile, non è la stessa cosa!
In generale, questo lavoro a distanza sta un po’ fiaccando gli animi e credo che a tutti noi manchi parlarci di persona e affrontare i compiti insieme, uno accanto all’altro. La tecnologia non riuscirà mai a sostituire gli sguardi di intesa tra me e la mia collega Ilaria quando Marco comincia a parlare a raffica, non riuscirà mai a rendere le battute pungentissime di Nicola come dal vivo!
Ma poi non c’è soltanto la scuola: anche le altre attività che svolgiamo quotidianamente, anche in smartworking, sono interessanti: l’elaborazione di progetti di sostegno internazionali, la costruzione di dialogo con altri enti del territorio o con le persone che si avvicinano all’Associazione; sono tutte azioni che, per quanto a volte difficili o elaborate, ti danno il senso di star facendo qualcosa di concreto, la tua piccola parte in una causa più grande; un ponte gettato verso l’altro!
Per tutti questi motivi non posso che essere felice di aver intrapreso questo percorso e soprattutto di essermi trovata al fianco dei volontari e dei membri dell’Associazione El Comedor Giordano Liva: persone anche molto diverse tra loro ma tutte unite dalla voglia di fare insieme qualcosa di positivo per la propria città e per gli altri, e soprattutto unite nella consapevolezza di star portando avanti gli ideali di Giordano. Noi volontari poi, oltre all’università, abbiamo pochissimo in comune! Veniamo da luoghi diversi, abbiamo studiato cose diverse, frequentiamo persone che (incredibile per una piccola città come Pisa) neanche si conoscono tra loro! Eppure, anche in quei momenti in cui si rivelano delle differenze caratteriali che ci potrebbero portare a divergere non c’è mai stato uno scontro. Questo perché partiamo tutti con l’intenzione di fare bene e di fare insieme. Quando c’è una certa predisposizione d’animo, non può che essere così 🙂
Adesso sono passati sei mesi dall’inizio e questo è ciò che ho imparato finora, non solo per il Servizio ma soprattutto per quello: la vita è fatta di grandi perdite e di ingiustizie, ma con un po’ di sforzo si può rinunciare a quelle barriere che tanto naturalmente costruiamo intorno a noi; si può smettere di rivolgere lo sguardo solo verso noi stessi, non badare alle ferite e ritrovare tutto l’amore che serve per essere felici e darsi da fare, circondandosi di persone belle, come quelle del Comedor!