Abuso di psicofarmaci nei Centri per il rimpatrio

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Un’inchiesta realizzata dalla rivista Altreconomia nei Centri per il rimpatrio (CPR) ha dimostrato che in queste strutture vengono somministrate grandi quantità di psicofarmaci ai migranti che vi sono detenuti (sì, questo è il termine giusto).

In seguito alla presentazione il 06 aprile 2023 alla Camera dell’inchiesta, dal titolo Rinchiusi e sedati, alcuni deputati dell’opposizione hanno presentato un’interrogazione parlamentare per sollecitare il Ministro dell’Interno Piantedosi e quello della Salute Schillaci (il cui silenzio è a dir poco imbarazzante) a fornire delle spiegazioni in proposito.

I parlamentari che hanno potuto visitare i CPR già da tempo avevano notato che le persone lì rinchiuse erano spesso in uno stato di semi incoscienza, stordite, chiaramente sotto l’effetto di sostanze psicotrope.

L’inchiesta di cui sopra ha chiarito che la causa dello stato semicosciente in cui versano molti migranti è dovuto ad un uso spropositato di psicofarmaci, distribuiti senza nessun piano terapeutico autorizzato.

La spesa in psicofarmaci rappresenta, nei vari CPR, tra il 44% e il 64% della spesa totale per medicinali.

Se i migranti reclusi nei CPR soffrissero di patologie gravi, tali da richiedere l’uso di antipsicotici, antiepilettici e finanche metadone, non dovrebbero proprio soggiornare in queste strutture; se, invece, quando entrano sono sani, non si giustifica l’uso di farmaci così dannosi.

In realtà, secondo i giornalisti che hanno condotto l’inchiesta, gli psicofarmaci servono a «stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i CPR e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni».

La somministrazione di psicofarmaci da parte dei gestori dei CPR si configura come un reato da perseguire penalmente. Nel 2020 nel CPR di Gradisca d’Isonzo (GO) morì un ragazzo georgiano per un edema polmonare, dovuto, secondo il medico che ne ha accertato la morte, ad una miscela di psicofarmaci. Da poco si è aperto il processo per omicidio colposo a carico del direttore e di un operatore del centro.

Questi orribili luoghi di detenzione sono inoltre, molto spesso, inutili allo scopo per i quali sono stati istituiti: molte persone recluse non verranno mai espulse, sia per l’alto costo dell’operazione sia perché il rimpatrio è possibile solo in quei paesi con cui si è stipulato un accordo bilaterale. Il rimpatrio avviene in meno del 50% dei casi.

Almeno finora, perché recentemente il nostro Ministro degli Interni Piantedosi ha proposto all’Unione Europea di rendere legale l’espulsione non solo verso il paese d’origine, ma anche verso i paesi con cui i migranti hanno avuto un qualche rapporto… come, ad esempio, la Libia o la Tunisia, da dove sono passati e dove hanno subito, in un caso, gravissimi soprusi e violenze e, nell’altro, forme di discriminazione razziale. Non sappiamo quale saranno gli sviluppi futuri in questo ambito e non possiamo che augurarci che la cosa non vada in porto.

Nel frattempo, il nuovo Governo ha stanziato oltre 5 milioni di euro per l’ampliamento della rete dei CPR. Teniamo presente che i CPR sono luoghi di detenzione amministrativa dove si è trattenuti senza aver commesso alcun reato, ma solo perché si è violata una norma che riguarda l’ingresso e il soggiorno nel territorio italiano. Luoghi incompatibili con il rispetto della dignità umana anche perché negli ultimi anni la tendenza è stata quella di minimizzarne i costi di gestione.

A vincere gli appalti sono ormai quasi sempre delle società multinazionali, grazie a forti ribassi sui prezzi di base delle aste, che ovviamente incidono sulla qualità della gestione. La stessa assistenza sanitaria non viene affidata al SSN, come invece avviene con gli istituti penitenziari, ma all’ente gestore. Ma, come sottolinea CILD (Coalizione Italiana Libertà e diritti civili) «Un eventuale passaggio da una gestione privata dei CPR a una gestione totalmente pubblica non cambierebbe lo stato delle cose [….]. I Cpr non sono riformabili, vanno chiusi».

Fonti: Sito di CILD.