Morire per un braciere

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Il 23 gennaio una nuova tragedia si è consumata nel “ghetto” di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, dove, in condizioni di degrado inimmaginabili, vivono circa 1.500 migranti impegnati prevalentemente nel lavoro dei campi.

In una delle baracche sono morti, mentre dormivamo, Queen, una ragazza del Ghana, e Ibrahim, un giovane del Gambia, coppia fissa da tempo. La causa? Le esalazioni di un braciere acceso per difendersi dal freddo pungente.

Non è la prima volta che succede: già il 23 novembre 2019 due immigrati morirono per lo stesso motivo. E altri negli scorsi anni sono morti bruciati a causa degli incendi che si sono sviluppati nei loro ricoveri.

Negli ultimi cinque mesi ci sono stati ben quattro incendi che hanno distrutto 24 baracche; per fortuna, non hanno provocato vittime umane grazie all’intervento dei vigili urbani, che hanno istituito un presidio nel “ghetto”, visti i precedenti drammatici episodi. Incendi che hanno provocato vittime (almeno 6) ci sono stati anche in altre baraccopoli del Foggiano.

Il giorno dopo la morte di Queen e di Ibrahim, i braccianti di Borgo Mezzanone hanno partecipato allo sciopero indetto dalla Cgil per chiedere la chiusura delle baraccopoli e la costruzione di centri dove i migranti possano vivere in modo dignitoso.

Anche la Cisl si muove sulla stessa linea e ha chiesto al governo e alla regione di attivarsi per utilizzare al più presto i 200 milioni stanziati dal Pnrr per realizzare alloggi per i lavoratori agricoli che attualmente vivono nei “ghetti”.

I sindacati sottolineano inoltre, giustamente, che i cosiddetti “insediamenti informali” (espressione molto eufemistica) vanno chiusi anche per sottrarre i lavoratori al reclutamento da parte di “caporali” che, approfittando della situazione di degrado in cui vivono, li portano a lavorare nelle campagne per salari da fame.

Nel settore agricolo in Italia oltre il 34% dei lavoratori è irregolare; in Puglia sono oltre il 40% e sono prevalentemente stranieri non residenti che hanno trovato un rifugio nelle baraccopoli.

I sindacati sottolineano inoltre che, insieme ad un programma articolato di smantellamento di questi insediamenti in tutta Italia, occorre rivedere la legge Bossi-Fini che, legando il permesso di soggiorno ad un contratto di lavoro, pone gli immigrati in una condizione di costante ricattabilità.

Il segretario generale dei lavoratori agricoli della Cgil, Giovanni Mininni, dichiara in un’intervista a proposito della Bossi-Fini: «[…] mi viene in mente Yusupha, un giovane morto bruciato la scorsa estate in una baracca. Lui aveva perso il lavoro ed era stato costretto a rifugiarsi in un “ghetto”, [perché] non poteva avere un regolare rinnovo del permesso di soggiorno e, senza permesso, non riusciva a trovare un lavoro regolare. Una situazione insopportabile, insostenibile».

Fonti: Avvenire del 24 gennaio, Il Manifesto del 24 gennaio