La testimonianza di una vittima di tratta

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Ogni anno El Comedor Giordano Liva organizza Lo zaino del maestro, un corso di formazione destinato ai volontari impegnati nell’insegnamento dell’italiano ai migranti della nostra associazione, ma anche di altre realtà presenti nel territorio. Nel corso che si è tenuto nei primi mesi del 2022, dal titolo La didattica dell’italiano come L2 e i migranti ad alta vulnerabilità: inquadramento teorico e proposte operative, ben due incontri sono stati dedicati al tema della tratta degli esseri umani con un focus specifico sulla tratta delle donne destinate alla prostituzione. 

La relatrice di ambedue gli incontri è stata Tiziana Dalle Lucche dell’Associazione Donne In Movimento di Pisa che, con grande competenza, ci ha illustrato gli svariati aspetti di questa terribile forma di sfruttamento, a partire dall’illustrazione dei riti voodoo a cui sono sottoposte le ragazze vittime di tratta per legarle indissolubilmente ai loro sfruttatori.

Oggi vogliamo condividere con voi l’esperienza di una di queste ragazze, Amadi (nome di fantasia) a partire dal suo racconto alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, dove era arrivata, dopo aver attraversato il Niger, la Libia e il Mediterraneo, nel 2014. Ospitata in un centro di prima accoglienza, con l’aiuto di alcuni nigeriani (che poi si sarebbero rivelati i suoi sfruttatori) era riuscita a fuggire a Bari dove le era stato promesso un lavoro presso un bar. 

«La mamma di una mia cara amica mi ha proposto di venire a lavorare in Italia, da Jessica che ha un bar. Il giorno prima di partire sono stata sottoposta, [insieme ad altre due ragazze] a un rito ju-ju da parte di un santone […]. Quando siamo arrivate lì ci sono state consegnate delle vesti bianche da indossare durante il rito. Ci hanno fatto dei piccoli tagli sulla fronte per prendere del sangue e ci hanno preso anche dei pezzetti di unghie dalle mani. Tutte e tre abbiamo dovuto bere una bevanda alcolica e mangiare una sostanza di nome cola. Poi le altre due ragazze hanno mangiato un pezzo di cuore di una gallina appena uccisa mentre al posto mio l’ha fatto mio zio. Con questo rito tutte e tre siamo state costrette a giurare di restituire la somma di 25mila euro a Jessica in Italia, lavorando nel suo locale. Nel caso avessimo infranto il giuramento ci è stato detto che saremmo morte.

«[…] Tra maggio e luglio 2014, siamo partiti alla volta dell’Italia. La prima parte del viaggio l’abbiamo fatta con un autobus di linea. Eravamo in sette, tre ragazze, io Blessing e Glory, e quattro ragazzi. Dopo un viaggio molto duro siamo arrivati in Libia a Saba. Qui noi ragazze siamo state separate dai ragazzi e siamo state collocate in una connection house dove siamo state tutte violentate e picchiate da vari uomini. Siamo rimasti a Saba circa una settimana e poi siamo arrivati a Tripoli, di nuovo tutti e sette insieme. Appena le condizioni del tempo lo hanno permesso, siamo stati imbarcati su un grande gommone assieme a molta altra gente. Siamo partiti verso il mare aperto. Dopo alcune ore di navigazione siamo stati recuperati da una nave che ci ha poi sbarcati a Reggio Calabria.

«[Giunti a Bari], durante i primi tre giorni di permanenza ci hanno vestito, pettinato e rese più presentabili, [poi] Jessica ci ha fatte preparare e siamo uscite. Ci ha portate vicino a delle ragazze che si stavano prostituendo. Qui ci ha detto che per noi non c’era nessun lavoro al bar e che l’unico modo che avevamo per restituire il debito che avevamo contratto era quello di prostituirci. […] Ci ha consegnato i preservativi e ci ha dato le istruzioni su cosa fare. Ci ha detto che avremmo dovuto pagare 150 euro al mese per l’affitto, 50-60 euro al mese per il vitto e 200 euro al mese di joint [occupazione della postazione]. Tutto quello che riuscivo a guadagnare in più lo consegnavo a Jessica e Friday a titolo di rimborso del mio debito. Alle nostre iniziali resistenze lui ci ha picchiato e minacciato dicendo che saremmo morte come conseguenza del rito ju-ju a cui eravamo state sottoposte se non avessimo mantenuto fede al nostro giuramento di restituzione del debito».

Friday è il marito di Jessica e il capo dell’organizzazione che gestiva la tratta, nonché uno dei boss della mafia nigeriana e capo di un culto chiamato “Supreme Vikings Confraternity”; abitualmente abusava sessualmente di Amadi e delle altre ragazze.

«Approfittando delle assenze che Jessica faceva per recarsi in ospedale in quanto era malata, ha violentato sia Glory che me in più di qualche occasione. Dopo due mesi che ero arrivata a Bari, sono rimasta incinta. Lui e Jessica hanno cercato di farmi abortire ma nonostante tutto ho portato a termine la gravidanza. Il bambino è nato all’ospedale di Bari, ma dopo una settimana sono stata rimandata nuovamente sulla strada a prostituirmi. Lo ho fatto pure durante tutta la gravidanza, fino al giorno in cui non mi hanno ricoverata e fatto il cesareo».

Quando Jessica è morta il suo posto è stato preso da Glory, una delle ragazze arrivata dalla Nigeria assieme ad Amadi.

«Visti i miei orari che non mi permettevano di accudire mio figlio, erano Friday e Glory che si prendevano cura di lui. Durante la mia permanenza a Bari ogni tanto, spesso di nascosto con telefoni prestati da altre ragazze che lavoravano in strada come me, riuscivo a parlare con mia madre in Nigeria e lei mi diceva di smetterla con quella vita. lo provavo a dirlo a Friday con l’unico risultato di essere picchiata e minacciata».

Ad un certo punto Friday però l’ha buttata fuori di casa, tenendo con sé il bambino. Amady è stata in seguito sfruttata da altri connazionali a Torino e a Palermo e infine è entrata in un percorso di fuoriuscita dal sistema della tratta, di cui uno dei primi passi è stata proprio la denuncia dei suoi sfruttatori presso la Procura di Reggio.

Ora Friday è stato arrestato con le accuse di riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, sequestro di persona e violenza sessuale e determinanti sono state le accuse fatte da Amadi durante il suo colloquio con i Pubblici Ministeri di Reggio, che hanno ritenuto il suo racconto pienamente attendibile.

Il nostro auspicio è che un numero sempre maggiore di ragazze ridotte in schiavitù, attraverso il complesso sistema della tratta degli esseri umani, trovino il coraggio di denunciare i loro sfruttatori e l’energia per iniziare un nuovo percorso di vita, ricorrendo al Piano Nazionale contro la Tratta e il Grave Sfruttamento, di cui associazioni come Donne in Movimento e tante altre rappresentano l’articolazione sul territorio.

Fonti: Il Fatto Quotidiano del 25 Febbraio.