Quando i migranti non hanno occhi azzurri e capelli biondi


Foto di Anna Shvets da Pexels

Gli Ucraini hanno normalmente l’esenzione dal visto se vogliono passare nei paesi confinanti dell’Unione; la Commissione Europea, data l’eccezionalità della situazione, ha esteso questa facilitazione anche ai cittadini di altri paesi che vivono in Ucraina. Nonostante ciò, le autorità polacche hanno continuato a respingere i non Ucraini, non riconoscendo di fatto il diritto universale, previsto dalle normative internazionali, di sfuggire ad un conflitto e mettersi in salvo.

Circa un quarto degli stranieri presenti in Ucraina è composto da studenti, attratti lì dalla buona qualità del sistema dell’istruzione e dalle tasse molto più basse rispetto a quelle degli altri paesi europei. Da giorni sui social molti di questi studenti denunciano la discriminazione subita, basata, secondo loro, sostanzialmente sul colore della pelle.

La discriminazione verso gli stranieri inizia già in Ucraina, con i militari che alle stazioni danno la precedenza ai loro connazionali per conquistare un posto sui treni, lasciando africani e asiatici sui binari. E se qualcuno poi riesce a trovare un posto a sedere, si fa finta di non vederlo e viene escluso dalla distribuzione dei viveri.  Alcuni studenti nigeriani, indiani e pakistani hanno dichiarato che addirittura le guardie di confine hanno chiesto loro del denaro per farli passare.

Numerose rappresentanze africane nei giorni scorsi all’ONU hanno protestato con forza, condannando gli episodi di razzismo che si stanno verificando in Ucraina e al confine polacco. Episodi che sia le autorità ucraine che quelle polacche si sono affrettate a smentire, ma che purtroppo sono ampiamente documentate.

Negli ultimi giorni è stato finalmente raggiunto un accordo per accogliere tutti coloro che fuggono dall’Ucraina ma, su richiesta dei paesi del Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e dell’Austria, è stata comunque lasciata ai singoli paesi la scelta di quale tipo di protezione accordare ai non ucraini lungo soggiornanti. Per coloro invece che hanno un permesso di soggiorno breve o che addirittura sono privi di documenti, i singoli stati possono anche decidere di non accoglierli.

Eppure, le bombe colpiscono tutti allo stesso modo.

Che si tratti di razzismo, o quantomeno di una forte xenobia, ampiamente diffusa in tutta Europa, crediamo che non ci possano essere dubbi quando si leggono sulla stampa europea affermazioni del tipo: «L’Ucraina non è, con tutto il rispetto, un luogo come l’Irak o la Siria; è una terra relativamente civile, relativamente europea, è un paese in cui non te lo aspetteresti che accada quello che sta accadendo» (Charlie D’Agata, corrispondente senior di CBS News a Kiev. Link al video).

Oppure «È molto emozionante per me, perché vedo persone europee con occhi azzurri e capelli biondi […] che vengono uccise ogni giorno» (David Sakvarelidze, politico georgiano attualmente vice procuratore capo in Ucraina e pubblico ministero, intervistato dalla BBC. Link al video).

O ancora, «Non stiamo parlando di siriani in fuga dai bombardamenti del regime sostenuto da Putin. Stiamo parlando di europei che se ne vanno con auto che sembrano le nostre per salvarsi la vita» (Philippe Corbé, giornalista del canale francese BFM TV. Leggi anche qui).

Sembrerebbe quindi che noi europei siamo disponibili ad accogliere e sostenere in tutti i modi i profughi solo quando sono vicini e simili a noi. Ovvero, che riusciamo a simpatizzare con l’altro solo se in lui vediamo noi stessi; il che, in altre parole e fuori dai denti, significa che riusciamo a provare sentimenti di forte empatia solo per noi stessi.

E, d’altra parte, come dimenticare cosa è successo ai profughi ammassati al confine tra Bielorussia e Polonia, di cui abbiamo ampiamente parlato nei mesi scorsi e di cui al momento non si hanno più notizie? Persone bloccate al confine in pieno inverno, in condizioni disumane, solo perché siriane, pakistane e afghane e perché vergognosamente usate dal dittatore bielorusso Lukaschenko che a quei confini le ha ammassate per destabilizzare i paesi dell’Unione. Persone divenute pedine di un gioco molto più grande di loro, vittime di sofferenze incredibili, che hanno pagato anche con la morte il loro desiderio di fuggire dalle guerre e dalle violenze subite nei propri paesi.

Ecco, nei loro confronti nessuna empatia, anzi da mesi il silenzio dei media.

Come recentemente, e giustamente sottolineato da Oxfam (una confederazione internazionale di organizzazioni no profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo): «chiunque fugga da guerre o persecuzioni ha il diritto di essere accolto degnamente in Europa. Questo principio è contenuto nell’articolo 18 della Carta europea dei diritti fondamentali. Tuttavia, negli ultimi anni le politiche dell’Unione sulla gestione della crisi migratoria non sono state coerenti con quanto sancito dai suoi padri fondatori e hanno eroso il diritto di asilo dei migranti».

Si è dovuto aspettare che la guerra arrivasse in Europa per giungere all’applicazione di una direttiva del 2001 sulla Protezione Temporanea per le persone in fuga, che consente l’accesso a un permesso di soggiorno rinnovabile fino a tre anni. Una direttiva che non era mai stata applicata, nonostante tante fossero state le situazioni di crisi che lo avrebbero reso necessario, dalla Siria all’Afghanistan.

Perché questa direttiva non viene ora applicata a tutte le persone fuggite dalla guerra che vivono intrappolate nelle isole greche in centri che dovrebbero definirsi di detenzione e non di accoglienza? Ad esempio, nel centro di Samos, circa un quinto dei migranti non è potuto uscire negli ultimi due mesi, nonostante un tribunale greco si sia espresso in senso contrario, e le persone vengono monitorate con telecamere 24 ore al giorno e sono sottoposte ad un coprifuoco che scatta ogni sera alle 20.

E dove è finito l’impeto di solidarietà verso gli afgani, se è questo il trattamento che riserviamo loro lungo la rotta del Mediterraneo orientale? E perché ci siamo dimenticati dei profughi provenienti dalla rotta balcanica e bloccati nei campi bosniaci?

Forse è perché tutti questi profughi non hanno occhi azzurri e capelli biondi?

Fonti

Repubblica del 5 marzo, Il fatto quotidiano del 9 Marzo, sito di Comune.info e sito di Save The Children