Condividiamo oggi un articolo di Alessandra Ballerini pubblicato originariamente sul sito Benvenuti Ovunque dell’Osservatorio sull’Accoglienza di Migranti e Rifugiati.
Alessandra Ballerini è un noto avvocato civilista specializzato in diritti umani e immigrazione. Ha partecipato come consulente della “Commissione Diritti Umani” del Senato ai lavori di monitoraggio dei centri di accoglienza e di detenzione e ha presentato diversi ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro le espulsioni in massa di profughi. Si occupa di donne vittime di violenza, affidi di minori, tutela di emarginati e delle così dette fasce deboli. Fa parte di “Avvocati di strada” per la tutela dei senza dimora. È l’avvocato della famiglia Regeni.
Salvataggi
Nessuno dimenticherà le parole di Mario Draghi che qualche giorno fa ha ringraziato la guardia costiera libica, aiutata e sostenuta dall’Italia, per i “salvataggi” dei migranti. Chi, come noi, ha visto i loro corpi, ustionati, oltraggiati, percossi, mutilati, sa bene che la Libia non è e non pratica “salvataggio” e sa che non si possono stringere le mani sporche di sangue di dittatori e generali e credere di riuscire a mantenere pulite le proprie.
In molti non riusciamo a darci pace. Le parole dovrebbero avere sempre precisione e peso. Soprattutto alcune, che sono sacre. La parola “salvataggio” è una di queste. Per ringraziare «dei dittatori di cui si ha bisogno per collaborare» se ne dovrebbero scegliere altre.
Si può ringraziare, appunto, per la collaborazione, ma non per i salvataggi. Il salvataggio è un dovere giuridico, una responsabilità, un principio, una speranza. Non può essere sciupato per ingraziarsi chi quel dogma viola costantemente. Bisognerebbe leggere a chiunque creda o solamente dica che la Libia fa salvataggi, quanto precisamente descritto dal Tribunale di Messina che ha punito i torturatori di
centinaia di migranti che venivano privati della libertà personale e sottoposti a sistematiche vessazioni e atrocità al fine di ottenere dai loro congiunti il versamento di somme di denaro, ovvero, in assenza del pagamento, venivano alienati ad altri trafficanti di uomini per il loro sfruttamento sessuale o lavorativo o talora uccisi… sottoposti a reiterate costanti violenze fisiche consistenti in sistematiche percosse con bastoni, calci dei fucili, tubi di gomma, frustate e somministrazione di scariche elettriche, ripetute minacce gravi poste in essere con l’uso delle armi o picchiando brutalmente altri migranti quale gesto dimostrativo, accompagnate dalla mancata fornitura di beni di prima necessità quali l’acqua potabile, e di cure mediche per le malattie contratte o le gravi lesioni riportate in stato di prigionia, acute sofferenze fisiche e traumi psichici e un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona… sottoposti a sevizie fino a giungere alla perpetuazione di veri e propri atti di tortura talvolta culminati in omicidi; ciò al fine di lucrare sulla condizione di disperazione in cui i prigionieri versavano, costringendo i loro familiari a pagare consistenti somme di denaro quale prezzo della loro liberazione. Quanti non riuscivano ad assecondare i desiderata dell’associazione finivano per essere trucidati o venduti ad altri trafficanti di esseri umani.
Questa la sorte per chi transita dalla Libia o verso la Libia viene riportato dalla guardia costiera di quel Paese. Nessun salvataggio. Nessuna salvezza. Lo sanno bene i profughi che da quelle “atrocità” scappano e che quando capiscono che potrebbero essere rinviati in Libia supplicano di essere uccisi piuttosto che precipitare di nuovo in quell’orrore.
Così, quando è capitato che alcuni di loro si ribellassero contro l’equipaggio della nave italiana che dopo averli intercettati in mare, lungi dal “salvarli” li stava conducendo in Libia, il Tribunale li ha assolti riconoscendo l’esimente della legittima difesa e ribadendo che le convenzioni del mare impongono un «obbligo di salvataggio in mare della vita umana che comporta il dovere di individuazione di un porto sicuro dove sbarcare le persone… e non consentono affatto il rimpatrio in Libia dei migranti soccorsi».