Oggi voglio raccontarvi la storia di un migrante giunto nel nostro paese in cerca di un avvenire dignitoso e barbaramente ucciso per il suo impegno in campo sindacale.
Si tratta di Soumaila Sacko, a ricordo del quale, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, l'”Osservatorio Diritti” ha dedicato una toccante testimonianza.
Soumaila proveniva dal Mali, aveva lavorato come bracciante agricolo in Calabria, si era avvicinato al sindacato USB e si era battuto per i diritti dei lavoratori agricoli, “vittime di imprenditori senza scrupoli, ingranaggi di una filiera alimentare che si regge sul sistema del caporalato, pedine di una scacchiera dove la ‘ndrangheta, la mafia e la camorra giocano un ruolo di rilievo”.
Il 2 giugno 2018, Soumaila Sacko venne ucciso da un colpo di fucile mentre si trovava nell’ex fornace “Tranquilla” di San Calogero, una fabbrica abbandonata in provincia di Vibo Valentia. Quello stesso giorno, l’appena nominato ministro dell’Interno Matteo Salvini dichiarava che per gli immigrati clandestini “la pacchia era finita”. A sparare a Soumaila, secondo la sentenza di primo grado, sarebbe stato Antonio Pontoriero, un agricoltore di 45 anni che è stato condannato un mese fa a 22 anni per omicidio volontario; dopo pochi giorni però è andato agli arresti domiciliari…
Perché Soumaila Sacko aveva lasciato il suo paese? Perché era venuto in Italia? Il villaggio da cui proveniva si trova in una zona a Nord-Ovest del Mali, nota per le siccità ricorrenti. Qui i cambiamenti climatici hanno reso i campi sempre più improduttivi, per cui il lavoro da agricoltore non permette più alla maggioranza degli abitanti di mantenere la famiglia.
Ed ecco che Soumaila, come tanti altri migranti provenienti dal Sahel, arriva in Italia e finisce per andare di nuovo a lavorare la terra, ma questa volta come bracciante supersfruttato nella piana di Gioia Tauro. Vive nella baraccopoli di San Ferdinando, dove si ammala a causa delle condizioni igieniche ed è costretto ad andare in ospedale.
Lavora più di 14 ore nei campi per uno stipendio in nero di 25 euro a giornata. Ottenuto nel 2017, dopo tre anni, un permesso di soggiorno, Soumaila decide che ora vuole impegnarsi nella tutela dei diritti di quelle centinaia di migliaia di braccianti agricoli che, come lui, sono alla mercè di imprenditori senza scrupoli e del sistema del caporalato.
Inizialmente fonda l’Associazione Maliani, che ha sede nella baraccopoli di San Ferdinando, e poi aderisce al sindacato USB, convinto che “uniti si vince, divisi non si va da nessuna parte”, come ricorda Aboubakar Soumahoro nel capitolo dedicato a Soumaila del suo libro “Umanità
in rivolta – La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità”.
Due giorni dopo l’assassinio di Soumaila, l’USB indice uno sciopero dei braccianti della piana di Gioia Tauro e del Foggiano e promuove una colletta per rimpatriare la sua salma.
Nei giorni successivi, in memoria di Soumaila Sacko, saranno organizzate diverse manifestazioni in tante città d’Italia. Grazie a queste mobilitazioni il suo assassinio non è stato derubricato a fatto di cronaca nera ( in un primo momento si disse infatti che era stato ucciso perché scoperto a rubare lamiere in una fabbrica abbandonata) ma si è riconosciuto il vero movente dell’omicidio: ridurre al silenzio un giovane migrante cosciente dei suoi diritti e di tutti quelli come lui.
Oggi il suo nome non è più solo quello di un bracciante morto, ma quello di “uno dei simboli della lotta per i diritti degli invisibili”
Fonti:
“La Pacchia” di Bianca Stancanelli
“Umanità in rivolta – La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità” di Aboubakar Soumahoro sito di “Osservatorio Diritti”