Il fenomeno migratorio: una visione più consapevole

“Molto spesso il complesso fenomeno delle migrazioni viene affrontato con estrema superficialità sia dal mondo politico che dagli organi di informazione, offrendo uno spettacolo emergenziale che trascende la naturalità delle sue dinamiche. Prendendo spunto dal Documento “Dieci miti da sfatare” realizzato da Concord Europe, cercheremo di accompagnarvi in un percorso di sempre maggiore consapevolezza sull’argomento, atta a garantire una maggiore autonomia di pensiero in merito.

Partiamo dunque dal primo luogo comune: “ Un maggiore sviluppo nei Paesi di origine fermerà le migrazioni internazionali ”.

Spesso sentiamo dire che la povertà è il maggior fattore di migrazione internazionale e che siano le persone più povere a partire. Questo pensiero genera due conseguenze: l’illusione che aiuti economici ai paesi di provenienza dei flussi migratori riduca le cifre relative all’emigrazione; e l’incremento di sentimenti di rabbia e odio nei confronti delle persone immigrate quando la realtà rivela una condizione economica che non ci si aspetta. Quante volte sentiamo dire “ sono poveri ma hanno il cellulare”.

Ebbene, tutto questo accade perché non si conosce la relazione esistente tra povertà e migrazioni che ora cercheremo di spiegare al meglio delle nostre possibilità. La mobilità internazionale è una delle dinamiche mondiali di maggior durata che, attraversando millenni e diverse realtà geografiche, si presenta come multifattoriale. Le ragioni che ne sono alla base pertanto sono plurime: desiderio di conoscere, scelte personali, guerre e conflitti, disastri naturali, violazioni dei diritti umani, discriminazioni di genere e povertà; questi sono solo alcuni dei fattori che spingono a migrare. Non è dunque solo l’estrema indigenza a portare le persone oltre i confini dei propri paesi. Si emigra anche da luoghi non considerati poveri, ma che sono comunque caratterizzati da tratti di fragilità tali da costringere parte della popolazione a cercare altrove condizioni di vita più accettabili sotto vari profili.

Le ricerche dimostrano come a migrare non siano i poverissimi o persone provenienti da realtà in forti difficoltà economiche, i quali non avrebbero abbastanza risorse per soddisfare i costi di un viaggio internazionale; le persone disposte a partire provengono, invece, soprattutto da realtà in fase di crescita. Proprio un relativo sviluppo socio-economico, infatti è ciò che tende, nel periodo medio-breve, a incoraggiare fenomeni migratori. Secondo Michael Clemens, del Centro per lo Sviluppo Globale“ l’emigrazione generalmente aumenta con lo sviluppo economico fino a quando i paesi raggiungono un livello di reddito medio-alto, e diminuisce solo dopo”. Aspettative più alte, un miglior accesso alle risorse necessarie per viaggiare, costi ridotti e minori rischi sono quindi altrettanti fattori che stimolano ad emigrare. E’ solo nel lungo periodo che i flussi migratori tendono a diminuire, sempre che nel Paese di origine si concretizzi effettivamente un processo di sviluppo sostenibile.

Contrariamente a ciò che si crede, la curva della migrazione è quindi sì strettamente correlata con il livello dello sviluppo umano ma, come dimostrano anche gli studi di Heins de Haas, lo è in modo direttamente proporzionale, in quanto la percentuale delle persone che emigra diventa più alta nei Paesi a sviluppo medio. I Paesi con uno sviluppo umano ridotto hanno invece un bassissimo tasso di emigrazione, persino più basso di quello dei Paesi ricchi.

Un recente studio dell’ Organizzazione Internazionale per la Migrazione giunge alla stessa conclusione: “Non esiste un collegamento diretto tra povertà, sviluppo economico, crescita della popolazione e cambiamento politico da un lato, e migrazioni internazionali dall’altro. La riduzione della povertà non è di per sé una strategia efficace per la diminuzione delle migrazioni”. Pertanto, “aiutarli a casa loro” implicherebbe delle azioni molto più complesse di un semplice ammontare di aiuti economici atti a sormontare un problema come quello definito “povertà” che a sua volta non può essere ridotto ad un indicatore internazionale ma sottende una multifattorialità da considerare. La logica più preoccupante insita nell’odierno luogo comune, che vede un nesso di causalità diretta tra povertà e migrazioni, è che lasciare il proprio paese di origine sia una sventura o comunque qualcosa di negativo. La mobilità umana invece può dare un contributo estremamente positivo allo sviluppo sostenibile dei paesi di origine, di transito e di destinazione. Questo implicherebbe che le politiche di gestione di un eventuale “problema” come quello causato da un movimento migratorio considerato “eccessivo” dovrebbe puntare alla valorizzazione di tali dinamiche in tutte le realtà geografiche nelle quali si manifesta e non cercare di ridurre il movimento naturale degli esseri umani.”