Mettiamo ponti ai porti

Sempre più frequentemente negli ultimi mesi Papa Francesco ha preso posizione contro la politica di chiusura e di respingimento nei confronti dei migranti attuata dal governo italiano, nel silenzio se non con la connivenza delle istituzioni europee.

Le parole usate dal Pontefice in varie occasioni sono chiare, nette e spesso molto dure.

Egli non si limita a  condannare le scelte in materia effettuate da chi ci governa, ma si appella soprattutto alla coscienza di tutti coloro che, pur dichiarandosi cristiani, coltivano nei loro cuori l’odio per chi è diverso, credendolo il responsabile di tutti i suoi problemi, e danno credito a chi promuove una politica di esclusione.

Passiamo in rassegna alcuni recenti interventi di Francesco.

ll 31 marzo su “Republica”  troviamo una lunga intervista rilasciata dal Papa al termine della sua visita in Marocco, dove afferma che, come si è visto anche nel dialogo da lui  intrapreso in quel paese, “ci vogliono dei ponti e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire dei muri. Perché abbiamo dolore? Perché coloro che costruiscono i muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito. Invece quelli che costruiscono ponti, andranno tanto avanti“.

Il ponte è per la comunicazione umana. E questo è bellissimo e l’ho visto qui in Marocco. Invece i muri sono contro la comunicazione, sono per l’isolamento e quelli che li costruiscono ne diventeranno prigionieri.

Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare nel Mediterraneo: mettiamo ponti ai porti. Questo non è il modo di risolvere il grave problema dell’immigrazione. Un governo con questo problema ha la patata bollente nelle mani, ma deve risolverlo altrimenti, umanamente.”

 “Una volta ho avuto la possibilità di vedere un filmato del carcere dei rifugiati che tornano indietro, carceri non ufficiali, carceri di trafficanti. Fanno soffrire, fanno soffrire. Le donne e i bambini li vendono, rimangono gli uomini. Deve parlare l’Unione Europea. Dicono: non li lascio entrare, o li lascio affogare lì, o li mando via sapendo che tanti di loro cadranno nelle mani di questi trafficanti che venderanno le donne e i bambini, uccideranno o tortureranno per fare schiavi gli uomini.” 

“Vedo che tanta gente di buona volontà, non solo cattolici, ma gente buona, di buona volontà, è un po’ presa dalla paura che è la predica usuale dei populismi, la paura. Si semina paura e poi si prendono delle decisioni. La paura è l’inizio delle dittature. Andiamo al secolo scorso, alla caduta della repubblica di Waimer, questo lo ripeto tanto. La Germania aveva necessità di una uscita e, con promesse e paure è andato avanti Hitler, conosciamo il risultato. Impariamo dalla storia, questo non è nuovo: seminare paura è fare una raccolta di crudeltà, di chiusure e anche di sterilità.

 Su “Avvenire” del  27 maggio è invece pubblicato il testo del messaggio del Papa presentato nella sala stampa vaticana, per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebrerà il 29 settembre.

In questa occasione Francesco parla di “globalizzazione dell’indifferenza” prodotta dall’imperante individualismo e utilitarismo amplificato dalla rete mediatica.

“In questo scenario, i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’esclusione perché, oltre ai disagi che la loro condizione di per sé comporta, sono spesso caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali. L’atteggiamento nei loro confronti rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto. Infatti, su questa via, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione.”

E ancora

 ” I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati.  Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto (cfr Lc 16,19-21). Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale, e si preoccupa anche delle generazioni future.”

Per finire, su Avvenire del 2 Maggio, è riportato il discorso che  papa Francesco ha rivolto ai componenti della Pontificia Accademia delle scienze sociali.

 “Abbiamo sotto gli occhi situazioni in cui alcuni Stati nazionali attuano le loro relazioni in uno spirito più di contrapposizione che di cooperazione e questo atteggiamento sembra poggiarsi su un crescente sentimento di nazionalismo“. Ma “Il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità”. Una visione del fenomeno delle migrazioni, quella di Francesco, radicalmente alternativa a quella che al momento sembra trionfante nel nostro paese, quella posizione sovranista, nazionalista, che pone al primo posto gli interessi degli italiani rispetto al valore dell’accoglienza e dell’integrazione, come se i problemi dei “penultimi” fossero gli “ultimi” e non un sistema socioeconomico che sacrifica i bisogni di tanti per l’interesse di pochi (che tra l’altro sono sempre più pochi).

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