Per la nostra rubrica di cultura e tradizioni, Maria Chiara Evangelista ci parla della dea madre, le cui varie forme e manifestazioni sono riconosciute e venerate ancora oggi.
L’Induismo, che associamo sempre alla penisola indiana, è in realtà parte integrante anche del vicino Nepal.
Maria Chiara Evangelista, nostra volontaria, ci presenta alcune delle dee femminili della religione Indù.
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Mahishasura. Se pronunciassi questo nome in una qualsiasi città occidentale, mi guadagnerei tuttalpiù degli sguardi perplessi. Eppure, un qualsiasi seguace dell’induismo potrebbe narrarvi del terribile bufalo mutaforma, capace di sconfiggere gli uomini e persino gli dei. Era un hasura, Mahishasura, ovvero faceva parte degli dei ancestrali. Detronizzato dai deva, gli dei dell’era del pensiero concettuale, capeggiati dalla luminosa Trimurt, la forma trina che assume l’essere supremo, scisso in Brahma (il creatore), Visnu (il preservatore) e Sivacil (il distruttore).
Eppure, l’iracondo bufalo sconfigge anche loro, il caos sembra prevalere sull’ordine cosmico, Mahishasura non può essere sconfitto da uomo o da Dio.
Ma lei non è uomo, non è un dio. E’ un principio, la forza creatrice ancestrale, la fonte del tutto. E’ Durga.
E lei, come Maria che schiaccia il serpente, è l’unica che può davvero sconfiggere il male. Il tanto decantato potere maschile riconosce di non avere le redini delle fiamme intestine al tutto, dell’entropia a cui è soggetto l’universo, perché riconosce di non esserne il vero padrone. E’ il femminile in realtà ad essere quasi l’essenza stessa delle cose, ad avere potere di crearle, a permettere loro di esistere, e quindi a poterle distruggere. E Durga lo fa: sconfigge il bufalo invincibile, per quanto lui muti forma, alla fine il suo corpo decollato giace ai piedi dell’ “inavvicinabile”.
E’ questo che celebra il Daishain, una delle feste più caratteristiche del Nepal. Celebra lo Shakti, il potere femminile creativo (e quindi padrone e distruttivo) dell’universo. Questo mito e la sua figura non sono altro che un modo che hanno i veda (i libri sacri dell’induismo), di includere il culto di Devi (la dea madre, in tutte le sue forme), adorata dalla mitica civiltà della valle dell’Indo, nel contesto della religione Brahmanica, maschilista come il popolo di guerrieri che la praticava e che si sostutuì alla precedente suddetta civiltà, gli Ari.
Durga, come Kali la distruttrice o Parvati la benevolenza o ancora Lakshmi la saggia, non sono altro che diverse forme e manifestazioni della dea madre, il cui culto, nella valle dell’Indo di 4000 anni fa era preponderante.
E’ probabile che la civiltà indiana più ancestrale, infatti, come se non più della vicina Mesopotamia, fosse matriarcale: la loro economia agricola, infatti, girava intorno ad un fiume, il Sarasvati (oggi prosciugato), che farei meglio a chiamare la Sarasvati, dato che era personificato in una dea.
Proprio così, la fonte della loro civiltà (e quindi, secondo il loro punto di vista, del mondo) era femminile. E non si sceglie a caso il sesso della divinità principale.
Era Sarasvati che portava la vita, e lei che la toglieva quando esondava, e le varie dee distruttrici dell’induismo derivano da questa idea onnipresente del femminile; sono solo il prosieguo di un culto che, per quanto osteggiato dagli Arii e dalle loro divinità maschili, prova che la radice della civiltà è matriarcale.
Questa radice serpeggia in tutte le religioni, che sono uno dei modi più basilari e primitivi con cui una società racconta se stessa, ed è la spinta inconscia delle discriminazioni sessiste verso il “gentil sesso”: un potere autoreferenziale e circostanziato (quello del maschio guerriero e macho) per continuare a prosperare ha bisogno di distruggere ed umiliare il potere naturale e completo della dea madre.
Per fortuna i nepalesi hanno la soluzione: l’unione cosmica (e sessuale, Maithuna) tra il dio e la dea, tra Siva e Sakti.”