Centri per il rimpatrio: strutture disumane, costosissime ed inutili

Torniamo a parlare dei Centri per il rimpatrio. La detenzione nei CPR dei migranti a cui è scaduto il permesso di soggiorno o che provengono dai cosiddetti “paesi sicuri” (e che pertanto si ritiene non abbiano diritto a presentare domanda di asilo), oltre che disumana, è decisamente antieconomica.

Basti un solo dato: nel CPR di Brindisi la detenzione di un migrante costa 200 euro al giorno e non va certo meglio nelle altre strutture.

I rimpatri, a cui è finalizzata la detenzione, sono un vero fallimento. Nel 2023 sono stati emessi 28.000 ordini di allontanamento ma solo 4.267 sono stati eseguiti; di questi solo 2.900 riguardano chi è stato detenuto in uno dei dieci CPR presenti nel territorio italiano, corrispondenti al 10% dei provvedimenti emessi.

Inoltre, sono stati allungati i termini di durata massima della detenzione: dai 30 giorni del 1998, nel 2023 si è arrivati a 18 mesi, senza per questo aumentare i rimpatri: un abnorme aumento della spesa, quindi, senza incidere sulla finalità dichiarata, ovvero l’espulsione.

A tutto ciò si aggiunga la cattiva gestione (delegata a cooperative o a enti con finalità di lucro) e la violazione dei più elementari diritti umani: nella maggior parte dei CPR da Milano a Gorizia, da Palermo a Brindisi si registrano carenze nella tutela della salute e nessuna opera di prevenzione di suicidi e di atti di autolesionismo.

La denuncia di questa situazione e tutti i dati sull’inefficienza dei CPR sono inseriti in Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri, un interessante e completo report di ActionAid e del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari.

Una valutazione fortemente negativa dei CPR è stata espressa anche da Mauro Palma, l’ex garante dei detenuti, che ha dichiarato: «Se i costi sono quelli di un hotel, le persone vivono invece in condizioni peggiori del carcere»; egli inoltre ha sempre definito i CPR “vuoti a perdere”, non solo perché funzionano a capacità ridotta (in genere la metà della capienza ufficiale) ma anche perché «lì le persone cambiano e quando ritornano nelle nostre comunità, come il più delle volte accade, sono peggiorate, anche per l’impiego inquietante di psicofarmaci».

Se sono così costosi e così inefficaci, qual è allora il senso dei CPR?

Come afferma Fabrizio Coresi, esperto di migrazione per ActionAid, lo scopo è «la detenzione in sé: assimilare le persone a criminali. Se sono criminali ci sentiamo legittimati a considerarli invasori, concorrenti nella crisi economica, e questo ci disciplina perché ci distrae da altre questioni. Visti i risultati, possiamo dire che i CPR non servono a rimpatriare loro, ma a controllare noi».